Panel 23

Mondi sociali, comunità di carta. Antropologia e pratiche del patrimonio

Panel 23 / Quarto Convegno Nazionale SIAC “Il ritorno del sociale”, Sapienza Università di Roma, 21-22-23 settembre 2023

Proponenti: Fabio Mugnaini (Università di Siena), Emanuela Rossi (Università di Firenze)

Discussant: Daniele Parbuono (Università di Perugia)

Abstract

La costruzione della memoria, i processi e le politiche di patrimonializzazione sono esplicitamente richiamati nella ricca serie di domande sollecitate dal “ritorno del sociale”; una delle direttrici di riflessione che si aprono su questo asse, è quella che va dai luoghi e dalle collettività effettivamente esistenti e operanti nel proprio quotidiano alla loro proiezione su scenari sovralocali se non globali, in quanto “borghi”, “luoghi del cuore”, “comunità di eredità”. E’ questo l’esito di un processo che ha visto affermarsi come naturale e necessaria, quindi neutrale, la svolta patrimoniale, facendo sì che le sue ricadute oggettivanti e procedurali restassero in secondo piano. Più evidenti nelle analisi condotte in realtà culturalmente distanti, gli “effetti Unesco” (ovvero la defamiliarizzazione con le proprie tradizioni, il governo politico e burocratico dell’eredità culturale ambientale e immateriale, della sua tutela e della sua promozione) suggeriscono un ripensamento critico sul ruolo dell’antropologia entro i saperi esperti che il patrimonio ha chiamato ad esercitarsi sui soggetti sociali eredi della tradizione. I processi patrimoniali sono davvero in grado di accogliere il sociale che ritorna o ne colgono solo quanto coincide con i parametri definiti a priori? Sono in atto percorsi divergenti da quelli istituzionalizzati? Quale rapporto tra identità ricostruita, mercato e Stato? Quale ruolo e responsabilità per l’antropologia?

Keywords: patrimonializzazione, memoria, comunità, expertise, proceduralizzazione

Lingue accettate: Italiano / English / Français / Español

 

Sessione I

Venerdì 22/9/2023, ore 9.00-10.45, aula Archeologia, Piano terra

Franco Marcello Lai (lai@uniss.it) (Università di Sassari), La “ritornanza”. Paesaggi e memorie: osservazioni auto-etno-grafiche

In questa comunicazione vorrei discutere sia sulla base della mia esperienza di ricerca del ruolo del discorso sul paesaggio nella formazione della memoria personale e sociale. A cominciare del fatto di ritornare sui luoghi d’origine e sui luoghi in cui ho compiuto delle ricerche. La parola “solastalgia” indica quell’insieme di emozioni che tutti noi possiamo provare ritornando dopo molto tempo in luoghi che hanno avuto una qualche importanza nella nostra vita e li troviamo, talvolta, radicalmente cambiati. Dei cambiamenti che talvolta percepiamo come profondi e negativi e pure “brutti” esteticamente. Oppure i cambiamenti possiamo, invece, percepirli come “positivi” perché confermano i nostri ricordi di luoghi piacevoli, affascinanti e “belli”.

Pietro Meloni (pietro.meloni@unisi.it) (Università di Perugia), Desiderio di villaggio: la globalizzazione della campagna toscana tra patrimonializzazione e gentrification

La mia proposta di intervento riguarda i processi di patrimonializzazione, mercificazione e gentrification che riguardano la campagna toscana contemporanea e la vita di paese.
Vi è un diffuso desiderio di villaggio che attraversa l’immaginario turistico contemporaneo che interessa la Toscana, fatto di paesaggi brulli e colline dolci, di vigne e cipressi, di vini pregiati e cibo sano, di piccoli negozi di artigianato locale e di ristoranti, di feste tradizionali e di buoni rapporti di vicinato. Una cartolina della Toscana ben nota, sponsorizzata a livello culturale, istituzionale e commerciale. Cosa comporta un immaginario del genere e come influisce sulla vita delle persone che abitano le campagne e i paesi toscani oggi? Se il visitatore che arriva in Toscana si aspetta spesso di vivere un’esperienza di “autenticità” mediata da un effetto “macchina del tempo”, la quotidianità della vita di paese rivela delle frizioni e delle contrapposizioni con le politiche patrimoniali contemporanee che chiedono di essere indagate etnograficamente. Partendo da alcune esperienze di ricerca etnografica condotte nell’arco di un decennio nella Toscana meridionale mi propongo di mostrare come la globalizzazione, le politiche del patrimonio e la gentrification ridefiniscano i luoghi rurali e, di conseguenza, la vita quotidiana e le relazioni sociali degli attori sociali interessati.

Elisa Rondini (elisa.rondini@unipg.it) (Università di Perugia), Creatività ai margini del vincolo: pratiche abitative e costruzione di patrimoni al Trasimeno

All’interno del dibattito che chiama in causa esigenze patrimoniali, soggetti istituzionali e strumenti normativi, il recupero delle memorie e dei saper fare territoriali si configura come un’azione forte di salvaguardia del patrimonio culturale immateriale. In tal senso, occorre rendere tali memorie e saper fare “buoni da pensare” e soprattutto buoni da agire come efficaci elementi patrimoniali in grado di risvegliare dinamiche territoriali e di partecipazione, operando in controtendenza rispetto al rischio di perdere percezioni consapevoli dei paesaggi locali quali spazi trasformativi agiti nelle espressioni creative delle diversità culturali, ricche di pratiche minute e dense di relazioni fra esseri umani e resto dell’ambiente. Nell’ambito di un Prin finalizzato a comprendere strategie innovative dell’abitare prodotte in luoghi marginali, la rilettura delle esperienze di due artigiani attivi nel territorio del Trasimeno rivela il potenziale generativo di azioni che si producono ai margini dei vincoli e delle politiche che li definiscono, offrendo al tempo stesso prospettive da cui osservare il tema del rapporto tra la formalità e l’informalità nelle pratiche che riguardano il patrimonio. Al di là delle normative e dei regolamenti, emerge infatti una quotidianità attraversata da processi di riattivazione di potenzialità locali e di forme partecipative, capace di creare risorse patrimoniali fattive e immaginative per il futuro dei luoghi e delle comunità chi li abitano.

Paola Elisabetta Simeoni (paolaelisabetta.simeoni@gmail.com) (Sapienza Università di Roma), Rito e gioco nella contemporaneità. “Considerare la cultura sub pecie ludi”

Si possono ipotizzare modi contemporanei del vivere sociale dove le agency si svolgono nell’empireo fluido delle dinamiche vitali e in un orizzonte visionario dell’immaginazione che trasforma il rito in gioco e viceversa? Huizinga ha portato all’estremo limite il ruolo della funzione del gioco come fatto culturale totale. Gli ambiti del game e del play sono da considerarsi “categorie” scientifiche o pratiche ovvero essere interpretate secondo il paradigma della complessità e facenti parte di un unico set nel quale i “dialoghi” e creano lo spazio dell’incontro, ambiti di creatività e sperimentazione che permettono di creare cultura. Anche nell’analizzare le categorie di Caillois (agon, alea, mimicry, ilinx) ci si accorge che esse possono essere presenti in misura più o meno importante nei diversi giochi concreti e riflettere le proprietà dei processi che li animano. Le performance ludiche, cioè lo stabilire le regole stesse del gioco (game) mentre le si gioca (play) sono momenti concomitanti e vengono messe in atto nello stesso processo esperienziale. Scrive Winnicott: il bambino «senza allucinare […] mette fuori un elemento del potenziale onirico, e vive con questo elemento in un selezionato contesto di frammenti della realtà esterna» comportandosi già come un piccolo bricoleur (Lévi-Strauss). Come nota Huizinga «nel gioco abbiamo a che fare con una funzione degli esseri vivi, la quale non si lascia determinare appieno né biologicamente né logicamente o eticamente».

Roberto Lazzaroni (roberto.lazzaroni@unimib.it) (Università di Milano Bicocca), Digitalizzazione del patrimonio culturale immateriale: inclusione ed esclusione nei progetti locali. Il caso del Museo Etnografico Dell’Alta Brianza

I processi di digitalizzazione all’interno del settore del patrimonio culturale sono in atto già da tempo, grazie anche alla grande accelerazione tecnologica degli ultimi decenni. Tali tecnologie sono state uno strumento prezioso per la messa in opera di quelle azioni di salvaguardia e valorizzazione del patrimonio culturale immateriale richieste dall’UNESCO. Diversi autori hanno però evidenziato come l’uso delle tecnologie digitali non sia privo di conseguenze, sia nel rapporto con le pratiche culturali sia nel rapporto con le comunità portatrici di queste pratiche. Oltre ai vincoli relativi a quali aspetti delle pratiche immateriali registrare e digitalizzare, è importante tenere in considerazione gli aspetti che Oliver de Sardan evidenzia parlando dei progetti di sviluppo: gli attori sociali che dispongono delle tecnologie utilizzate, gli scopi dei progetti ed in che modo gli attori presenti nel contesto possono trovare posto nell’arena sociale.
In questo paper intendo esplorare una serie di questioni inerenti ai processi di digitalizzazione del patrimonio immateriale che stanno emergendo nei primi mesi di ricerca di dottorato presso il Museo Etnografico dell’Alta Brianza. Essendo l’inizio di un percorso di ricerca, il paper intende porre alcune domande di ordine pratico: ad esempio, come l’antropologia può intervenire nella costruzione di progetti che siano inclusivi, democratici e sostenibili?

 

Sessione II

Venerdì 22/9/2023, ore 11.15-13.00, aula Archeologia, Piano terra

Marco-Benoît Carbone (marcobenoit.carbone@brunel.ac.uk) (Brunel University, London), ‘Searching for new blood’: keeping Whittlesey’s Straw Bear folk revival alive

Across the UK, masked processions with zoo-anthropomorphic figures have been revived by organisations as “traditional” culture; this paper presents preliminary fieldwork results on the Straw Bear procession held in Whittlesey, Cambridgeshire–a market town in the rural, marshy East Anglian Fens (Frampton 1989). In Whittlesey, a bear-like costume made from dry straw stomps about town and parades along with traditional Molly dancers (Needham/Peck 1933) as the celebration is accompanied by drums, fiddles, melodeons, and pipes. Drawing on anthropological conceptualisations of “ritual” (Turner 1969, Ackerman 1991, Quack/ Töbelmann 2010) and on studies on British and Whittlesey’s folk revivalism (Boyes 1993, Cornish 2016, Irvine 2018), this paper interrogates the socio-economic coordinates of Whittlesey’s revival. Focusing on the labour and resources that networks of individuals committing to the festival must harness to allow for the festival’s annual reiterations, the paper presents the Straw Bear as a performance where continuous reinvention involves Britain-wide social agents and is subject to intergenerational disruptions due to ageing residents, as youths leave town to pursue employment. The paper also interrogates the insider/outsider dynamics of my presence in Whittlesey and the assumptions that informed my initial engagement with communities through the growingly inescapable academic requirements of “development” and “impact”.

Eleonora D’Agostino (eleonoradago22@gmail.com) (SIMBDEA), Paganesimo contemporaneo e patrimonio culturale: una comunità di eredità diffusa e multi-situata

Paganesimo contemporaneo è un termine ombrello che descrive un continuum di movimenti che ricercano nelle civiltà del passato e/o di “interesse etnografico” le buone pratiche su cui costruire le proprie identità religiose. All’interno di questo campo sociale hanno un ruolo cardine le collezioni e i resoconti di archeologi e antropologi, condizione che influenza la percezione di tutti i partecipanti circa i luoghi della cultura. Il contributo intende approfondire, con esempi dal contesto italiano, come il milieu pagano rappresenti una forma molto contemporanea di comunità di eredità diffusa e multisituata, la quale porta avanti valorizzazioni e rivendicazioni dal basso attraverso pratiche (festival, spiritual leisure, turismo spirituale, riti, pellegrinaggi, rievocazioni, ecc.) in musei e luoghi di interesse storico e naturalistico. Il milieu pagano, infatti, ha messo in luce una serie di coordinate, relative a fenomeni come quello del re-enchantment e della ecospiritualità, che hanno finito per influenzare la percezione dei patrimoni culturali anche di mondi che si avvalgono delle estetiche e delle poetiche del paganesimo contemporaneo per la loro forza simbolica sul piano sociale e politico, tra narrazioni anticapitalistiche, ecocentriche e avverse ai processi della globalizzazione.

Lia Giancristofaro (lia.giancristofaro@unich.it) (Università di Chieti), Trabocco o trabocchetto? Purezze e scorie commerciali di una patrimonializzazione rivierasca

La proposta si interroga sui processi patrimoniali in atto sui trabocchi della costa pescarese e chietina, detta appunto “Costa dei Trabocchi”. Il processo di patrimonializzazione di questi antichi manufatti della pesca, negli anni Novanta, è nato per impulso dell’associazionismo ambientalista, che intendeva manutenere le palafitte superstiti e ricordare le antiche tecniche di pesca ormai dismesse. Però negli anni Duemila i proprietari, per finanziare il restauro dei trabocchi, li hanno trasformati in ristoranti e pied-à-terre di lusso, sottoponendoli ad uno sfruttamento commerciale intensivo. Nel 2019 i proprietari si sono consorziati con analoghi gruppi d’interesse localizzati in Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Toscana, Marche ed Emilia-Romagna, realizzando il progetto “Patrimonio Culturale della Pesca” che, sostenuto dal Fondo europeo per la politica marittima, la pesca e l’acquacoltura, ha realizzato attività che, finalizzate all’iscrizione dell’elemento nella Lista Rappresentativa della Convenzione Unesco del 2003, mirano a stralciare i manufatti dall’applicazione della Direttiva Bolkestein. In poche parole, i percorsi sembrano divergere dagli intenti “puri” dichiarati sulla carta. Perciò ci si chiede: i recenti processi “unescani” che travolgono i trabocchi rappresentano le istanze di uso condiviso intrecciate con le candidature, oppure si parametrano soprattutto su motivazioni utilitaristiche e particolari?

Giacomo Nerici (giacomo.nerici@gmail.com) (Università di Milano Bicocca), L’UNESCO e i suoi rumours: rappresentazioni e pratiche del patrimonio in un arcipelago dei Mari del Sud (Isole Marchesi)

Alle Isole Marchesi (Polinesia Francese) l’attuale processo d’iscrizione all’UNESCO di alcuni “beni seriali misti” è entrato nella sua fase finale dopo la storica visita del presidente Macron (2021). In breve, si tratta di sette zone terrestri e marine (valli, aree costiere, siti archeologici ecc.) il cui Valore Universale Eccezionale in termini di natura e cultura riflette una presunta visione “ontologica”. Questo intervento si propone di mostrare però un duplice ordine del discorso riguardante l’UNESCO. Ai registri standardizzati dell’élite marchesiana basati sul prestigio e sulle forme “metropolitane” di protezione del patrimonio, si saldano certe retoriche che nell’UNESCO vedono una leva di empowering nativo e un’abbondanza di ricchezze che ricorda quelle mitologie tipiche dei “culti cargo”. Ad esse, tuttavia, si oppongono rumours e dicerie che hanno spesso riletto l’UNESCO con contorni mistificanti e fideistici, temendo il fatto che potesse “venire a rubare la terra” e ad imporsi come un nuovo “colonialismo culturale”. Oltre a dar conto di una simile dialettica, metterò in risalto alcune forme alternative di socialità vissuta con i “luoghi del patrimonio”. L’espediente per tutelare un legame intimo con queste rovine e con il passato andato in gran parte perduto implica infatti un loro abbandono volontario nella foresta, nonché l’installazione di un’interdizione basata sui tapu e giocata tatticamente per preservare una relazione con gli spiriti.

Giacomo Caruso (giacocar@hotmail.it) (Xiamen University, China), Two distinct pottery styles in Cambodia today. Perspectives on the interpretation of traditional heritage

The conflicts, challenges, and opportunities brought by modernity are clearly witnessed in Cambodia, a country facing an unprecedented wave of development but also the delicate task of traditional (or living) heritage conservation. Two approaches to pottery production are found in Cambodia today that reflect differences and similarities in their operational chain (the way the crafts are made from raw materials to commercialization and usage), and aims of production. One style and technique, produced in the province of Kampong Chhnang, is exquisitely utilitarian and has a fairly solid internal market due to the still predominant agricultural society of Cambodia. Another ware, produced mainly in pottery studios related to the Royal University of Fine Arts in the capital Phnom Penh is allegedly retrieving and repeating in a modern key the ancient royal pottery once produced at Angkor. The latter ware style is mainly produced for the tourist business in present-day Cambodia, and therefore arguably superfluous for the country’s living cultural heritage. This article, grounded in an anthropology of technical systems, investigates the two wares’ modes of production and attempts an explanation about why connected practical and aesthetical approaches are selected for different purposes and markets by practitioners and retailers, according to certain cultural interpretations of what is supposed to be “traditional”.

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