Art. 1 – Aspetti etici generali nel processo di ricerca
L’antropologo è pienamente consapevole del carattere “soggettivo” dei propri orientamenti di valore, presenti nella ricerca tanto teorica quanto applicativa. Pur tuttavia, ritiene che vi siano condizioni ineliminabili di metodo scientifico alla base della propria attività, quali la modalità distintiva di costruzione delle proprie conoscenze, la coerenza nelle argomentazioni scelte, la profondità e l’impegno conoscitivo, in una dinamica aperta al confronto, al dibattito critico e al rispetto delle altrui ricerche.
A tal fine sostiene responsabilmente i seguenti principali assunti etici:
- il rispetto delle norme giuridiche in materia di sicurezza, sperimentazione e ricerca con persone e animali;
- l’impegno a diffondere le conoscenze, sempre prediligendo l’incremento del benessere delle persone;
- la sollecitudine a che sia evitato un uso improprio delle ricerche, delle teorie e delle tecniche utilizzate;
- la cura dell’immagine che si fornisce della disciplina nelle sedi scientifiche, nella comunicazione e nel dibattito pubblico;
- l’interesse per il benessere di tutte le persone che a vario titolo partecipano alle diverse fasi della ricerca.
L’antropologo riconosce a se stesso piena autonomia di lavoro, sia a livello teorico (scelta di metodi, prospettive e collaborazioni) sia a livello pratico (indipendenza delle proprie condizioni di ricerca), con assunzione di piena responsabilità per il proprio operato.
Il metodo etnografico è la principale prassi (anche se non l’unica) esercitata dagli antropologi nella ricerca attraverso l’interazione individuale, lo scambio dialogico e l’osservazione dei contesti attraverso l’osservazione partecipante e la partecipazione osservante implica il rispetto di alcuni principi etici fondamentali.
La stretta e spesso prolungata relazione degli antropologi con le persone appartenenti ai vari contesti di studio implica l’instaurarsi di relazioni personali e morali, fondate su fiducia e reciprocità, tra il ricercatore e i partecipanti alla ricerca. Ne consegue che essi, nel realizzare le proprie indagini e nell’applicare i propri metodi, dovrebbero essere consapevoli dei limiti del proprio operare, e in particolare che:
- non hanno alcun diritto speciale a studiare tutti i fenomeni;
- il progresso della conoscenza e la raccolta del materiale etnografico non sono di per sé sufficienti giustificazioni per ignorare i valori e gli interessi di coloro con i quali si sta svolgendo indagine etnografica;
- i partecipanti hanno il diritto di essere informati circa la possibilità di ritirarsi dalla ricerca in qualsiasi momento;
- le personali annotazioni prese durante la ricerca di campo, nonché gli altri risultati della raccolta del materiale etnografico, sono di proprietà esclusiva e privata del ricercatore e pertanto egli è responsabile della loro specifica tutela;
- la protezione dei dati personali rappresenta la modalità più importante per tutelare i partecipanti alla ricerca. Gli antropologi si impegnano a tutelare, per quanto possibile tutto il materiale etnografico prodotto dalle loro ricerche da qualsiasi accesso non autorizzato e si assicurano – quanto più è possibile – che niente di quanto da loro stessi diffuso possa produrre un danno agli individui o metta la loro sicurezza a rischio.
Art. 2 – Responsabilità verso persone, animali e soggetti non umani e verso le comunità coinvolte nella ricerca
Comma 1 – Protezione delle persone che collaborano alla ricerca
Gli antropologi fanno presente a coloro che partecipano alla ricerca le possibili conseguenze delle loro scelte e chiariscono che, a dispetto degli sforzi, anche l’anonimato – laddove si renda necessario – può essere compromesso oppure fallire.
Il lavoro di ricerca e le attività pratiche ad esso connesse sono condotti in modo da non procurare danni morali o materiali ai soggetti coinvolti.
La stessa attenzione va prestata al momento della comunicazione e della diffusione dell’informazione.
Chi svolge la ricerca è responsabile del modo in cui tutti coloro che collaborano ad essa trattano coloro che partecipano alla ricerca stessa. Occorre perciò accertarsi delle rispettive competenze relazionali e scientifiche.
Comma 2 – Riconoscimento del contributo delle persone coinvolte nella ricerca
I ricercatori – considerato che le ricerche antropologiche sono frequentemente svolte in collaborazione stretta e continuata con un numero limitato di “interlocutori” – fanno esplicito riferimento nelle loro pubblicazioni all’apporto fondamentale ricevuto da questi ultimi, fino alla attribuzione – nei casi opportuni – della qualifica di co-autori, e indicano con chiarezza la natura e le condizioni della collaborazione (se onerosa o gratuita).
I ricercatori riconoscono alle loro fonti di informazione gli eventuali diritti economici che possano scaturire dalla pubblicazione – in co-autorìa – dei risultati delle ricerche (diritti d’autore) e anche dallo sfruttamento commerciale delle informazioni raccolte (uso di piante medicinali, diffusione di oggetti di artigianato, ecc.).
Gli antropologi possono autonomamente scegliere di fare seguire alla diffusione dei risultati della ricerca anche una forma di patrocinio delle comunità studiate.
Comma 3 – Restituzione nella ricerca etnografica
L’antropologo informa e rende partecipi degli esiti della ricerca gli interlocutori coinvolti, o almeno dei risultati che può produrre il lavoro scientifico (pubblicazioni, documentari, convegni, inventari di catalogo, mostre, ecc.).
In particolare, attiva tutte le forme possibili di condivisione del sapere prodotto e di restituzione delle conoscenze elaborate dall’esperienza di ricerca, valutando caso per caso le modalità e le possibilità di azione più idonee allo specifico terreno. Ove possibile, la restituzione delle interviste, degli oggetti e delle testimonianze fa parte di una politica della ricerca che considera il terreno come un luogo nel quale agire con responsabilità etica nei confronti dei soggetti coinvolti in una relazione di rispetto e scambio reciproco. La restituzione pubblica terrà conto – per quanto è possibile – delle conseguenze che ogni azione di condivisione dei dati produce sul campo, una volta resi pubblici.
Comma 4 – Responsabilità nei confronti delle comunità coinvolte nella ricerca
L’antropologo è consapevole del carattere politicamente posizionato dei gruppi (o delle comunità) entro cui svolge le sue ricerche, nonché delle legittime aspettative degli stessi a rappresentarsi sullo scenario politico con proprie rivendicazioni in termini anche di ‘diritti culturali’.
Sul piano internazionale questo riconoscimento delle “comunità” quali soggetti portatori di diritti ‘identitari’ si salda con il riconoscimento dei diritti dei popoli indigeni e con i temi attinenti alla cittadinanza attiva e alla partecipazione alla vita sociale. E, infatti, le recenti Convenzioni internazionali nel campo dei patrimoni culturali (come ad es., Unesco 2003 e Faro 2005, la Convenzione 169 dell’OIT del 1989 o la Dichiarazione sui Diritti delle Popolazioni Indigene delle Nazioni Unite del 2007) sono divenute strumenti internazionali, che, più che rivolgersi ai diritti individuali, vedono nelle “comunità” nuovi soggetti portatori di esercizio democratico di diritti.
L’antropologo, sia nella ricerca etnografica che nella produzione scientifica, terrà nella dovuta considerazione tanto le legittime esigenze di autorappresentazione dei soggetti collettivi quanto la libertà del proprio operare, giungendo a conclusioni sensibili al contesto.
Comma 5 – Responsabilità nei confronti del mondo animale, vegetale e non-umano in genere
Chi fa ricerca utilizzando soggetti del mondo animale, vegetale e in generale non umano è responsabile non solo del trattamento che essi ricevono durante il lavoro sul terreno, ma anche del loro rispetto e benessere fisico e psicologico per l’intero corso della ricerca.
Art. 3 – Consenso informato
Il ricercatore mette a conoscenza i partecipanti alla ricerca della sua presenza e delle sue intenzioni, in tempi e modi ragionevolmente adeguati al contesto di appartenenza e/o di studio.
Qualora si dovesse ricorrere ad attività non esplicite di ricerca (ad es., la ricerca “coperta”), è dovere etico dell’antropologo mettere in campo tutte le azioni possibili, nelle diverse fasi del lavoro e della divulgazione dei risultati, per evitare di danneggiare i soggetti coinvolti.
È opportuno che gli antropologi ottengano il previo consenso informato delle persone che essi studiano, fornendo informazioni, garantendo un uso corretto del materiale prodotto e offrendo un dialogo continuo con i soggetti interessati.
Essi sono altresì responsabili dell’identificazione e dell’osservanza dei vari codici di consenso informato, nonché delle normative che riguardano i propri progetti. Il consenso informato, ai fini del presente Codice, non richiede una particolare forma scritta, quanto la qualità della consapevolezza.
Gli antropologi stabiliscono rapporti basati su consenso informato con coloro con cui sviluppano forti e durevoli relazioni, con gli informatori, o con chi li ospita, curando con rispetto la relazione.
Art. 4 – Diritto alla riservatezza e all’anonimato
L’antropologo si impegna alla pratica della riservatezza nei confronti delle informazioni ricevute e delle fonti specifiche delle stesse, come anche dei nomi e degli interessi concreti di persone o gruppi coinvolti, avendo cura di garantire una consultazione informata, quale condizione indispensabile per il corso della ricerca.
La partecipazione alle ricerche scientifiche è volontaria e prevede la conoscenza dettagliata degli scopi e dei metodi specifici dei progetti di ricerca; gli antropologi si impegnano a garantire l’eventuale anonimato, sia in fase di ricerca sia nella diffusione delle conoscenze.
Vanno comunque tutelati, per quanto possibile, tutti i dati relativi alle persone, anche in assenza di un esplicito consenso. Particolare attenzione andrà dedicata al trattamento digitale delle fonti etnografiche. L’obbligo etico alla riservatezza sulle persone implica che le informazioni confidenziali debbano essere trattate con discrezione da parte di tutti i membri dei gruppi di ricerca. Sta alla responsabilità del direttore del progetto e dei collaboratori informare i partecipanti circa l’indagine e proteggere l’accesso al materiale confidenziale.
Chi svolge la ricerca deve essere disponibile a rispondere alle richieste o ai dubbi che insorgessero anche nelle fasi successive del lavoro.
Art. 5 – Responsabilità nei confronti di sponsor, finanziatori e datori di lavoro
In tutti i rapporti con i committenti, chi svolge attività di ricerca si impegna all’obbligo morale dell’onestà circa le proprie qualifiche, capacità, e finalità di lavoro.
Si impegna altresì a valutare previamente che le finalità e gli obiettivi delle ricerche proposte non siano in contrasto con l’etica della disciplina e della professione.
Comma 1 – Ricerca commissionata da Enti istituzionali di finanziamento alla ricerca
Per quanto riguarda i finanziamenti alla ricerca provenienti da Enti istituzionali, sia nazionali che internazionali, i ricercatori avranno cura di rendere visibile e dichiarare apertamente la fonte del finanziamento, i contenuti della ricerca, tanto nel corso della stessa quanto in maniera esplicita e formale nelle pubblicazioni che potranno scaturirne, rispettando tempi e impegni.
Comma 2 – Ricerca commissionata da Enti diversi
Per quanto riguarda i finanziamenti ottenuti da Enti diversi da quelli di cui al comma precedente (Regioni, Province, Enti locali, Istituzioni private, Ministeri o Soggetti pubblici di intervento pratico sulla realtà sociale, Organizzazioni Internazionali), i ricercatori mostreranno di conoscere in maniera dettagliata le finalità istituzionali di ciascun ente finanziatore, la natura e i caratteri delle richieste esplicite e delle aspettative delle suddette istituzioni, gli spazi di libertà e di autonomia previsti dalle medesime per il ricercatore. Anche in questo caso, si curerà la compatibilità dei prodotti richiesti con gli standard indicati nel presente Codice.
Comma 3 – Altre tipologie di collaborazione su commissione
Le attività di collaborazione esterne e collaterali al processo di produzione della conoscenza, laddove siano finanziate da Enti pubblici e privati, possono essere classificate, essenzialmente, come segue:
- a) contributi alla formazione di funzionari e tecnici;
- b) prestazione di conoscenze specialistiche (expertiseantropologica);
- c) conduzione di ricerche ad hoc.
Per quanto riguarda gli eventuali sostegni economici a proprie iniziative di studio e di divulgazione (pubblicità, sponsorizzazioni), l’antropologo avrà cura che non siano in contrasto con i principi di uguaglianza, rispetto e pacifica convivenza tra popoli e culture diverse.
Art. 6 – Relazione con il proprio governo e con quello dei Paesi ospitanti
Il ricercatore rispetta i codici normativo-valoriali, le disposizioni comportamentali, i quadri normativi e le leggi degli Stati cui appartengono i gruppi studiati. Nel caso in cui il ricercatore intenda dissociarsi da norme o pratiche locali, per propria convinzione o nell’intento di fare prevalere il rispetto di regole universali unanimemente concordate dalla comunità internazionale – come, per esempio, nel caso del rispetto dei diritti umani – egli dovrà assumersi esplicitamente la responsabilità personale nei confronti della comunità locale, distinguendo tale responsabilità da quella della disciplina che rappresenta.
Comma 1 – Condizioni di accesso al campo
Gli antropologi si assumono l’impegno di onestà e sincerità nei rapporti con il proprio governo e con quello ospitante, senza compromettere il proprio ruolo per ottenere l’accesso alla ricerca.
Comma 2 – Ricerca all’estero
La ricerca condotta al di fuori del proprio Stato solleva specifiche questioni etiche e politiche. Gli antropologi ne terranno conto quando si trovano sul campo, rivolgendo particolare attenzione anche alla eventuale disparità economica che dovesse manifestarsi tra loro e i colleghi stranieri.
Comma 3 – Condotta di ricerca per preservare l’accesso al campo per futuri antropologi
Gli antropologi che conducono ricerca all’estero sono consapevoli che azioni non adeguatamente meditate possono rischiare di compromettere l’accesso al campo per se stessi e per altri. Particolare attenzione si offrirà in caso di richieste di consulenza per governi, aziende multinazionali, forze militari che non mostrino di dare priorità ai diritti e agli interessi della popolazione locale.
Comma 4 – Vincoli giuridici ed amministrativi correlati all’attività di ricerca
Gli antropologi sono consapevoli che possono esistere leggi nazionali e internazionali o regolamenti amministrativi che potrebbero influenzare lo svolgimento delle loro ricerche, come ad esempio questioni relative alla diffusione e alla conservazione dei dati, alla pubblicazione e ai diritti dei soggetti di ricerca, degli sponsor e dei datori di lavoro. Sono altresì consapevoli che, in genere, le informazioni raccolte durante la ricerca antropologica non sono esenti dal controllo giuridico e normativo e possono essere soggetti a citazione legale. Pur nella suddetta consapevolezza, l’antropologo si potrà appellare al rispetto dell’anonimato della propria fonte e al diritto alla libertà di ricerca. In caso di controversie giuridiche che coinvolgano il socio a causa della propria attività di ricerca, la SIAC promuoverà le azioni che riterrà opportune per salvaguardare il diritto alla libertà di ricerca del socio.