Codice etico

Il Codice enuclea una serie di principi che intendono regolare le relazioni all’interno e all’esterno della SIAC, favorendo il rafforzamento e il conseguimento degli obiettivi statutari.

Il Codice etico comprende gli orientamenti di comportamento che i membri della SIAC sono invitati a condividere e osservare quando, individualmente o entro consessi pubblici, partecipano a processi decisionali che possono avere un impatto nei confronti della comunità scientifica e della società in generale.

Sezione-1 Preambolo

La Società Italiana di Antropologia Culturale (SIAC) ritiene rilevante la promozione del comportamento etico dei suoi membri e pertanto definisce, nel presente Codice, i principi e i valori che considera fondanti per l’adesione ad essa.

Il Codice enuclea una serie di principi che intendono regolare le relazioni all’interno e all’esterno della SIAC, favorendo il rafforzamento e il conseguimento degli obiettivi statutari.

Essi riguardano i compiti e le responsabilità scientifiche della ricerca e della professione antropologica, e in particolare i rapporti con i gruppi sociali e gli interlocutori diretti, i committenti e i finanziatori, i colleghi, gli studenti, il grande pubblico e i mezzi di comunicazione di massa.

Tali principi definiscono gli orientamenti di comportamento che i membri della SIAC sono invitati a condividere e osservare quando, individualmente o entro consessi pubblici, partecipano a processi decisionali che possono avere un impatto nei confronti della comunità scientifica e della società in generale. Inoltre, essi costituiscono le linee-guida del comportamento nella ricerca e nella professione antropologica, così come l’adesione associativa implica un coerente impegno per il loro rispetto.

Il presente Codice si compone di 5 sezioni (preambolo; ricerca; didattica e comunità scientifica; disseminazione, epilogo), articolate in 10 articoli e 18 commi. Nel testo, per agevolare la lettura, sono stati utilizzati i termini “antropologo/i” e “ricercatore/i” nella loro accezione di voci nominali neutre per intendere coloro che lavorano nel campo antropologico, a prescindere dalle determinazioni di genere.

 

Sezione-2 Ricerca

Art. 1 – Aspetti etici generali nel processo di ricerca

L’antropologo è pienamente consapevole del carattere “soggettivo” dei propri orientamenti di valore, presenti nella ricerca tanto teorica quanto applicativa. Pur tuttavia, ritiene che vi siano condizioni ineliminabili di metodo scientifico alla base della propria attività, quali la modalità distintiva di costruzione delle proprie conoscenze, la coerenza nelle argomentazioni scelte, la profondità e l’impegno conoscitivo, in una dinamica aperta al confronto, al dibattito critico e al rispetto delle altrui ricerche.

A tal fine sostiene responsabilmente i seguenti principali assunti etici:

  • il rispetto delle norme giuridiche in materia di sicurezza, sperimentazione e ricerca con persone e animali;
  • l’impegno a diffondere le conoscenze, sempre prediligendo l’incremento del benessere delle persone;
  • la sollecitudine a che sia evitato un uso improprio delle ricerche, delle teorie e delle tecniche utilizzate;
  • la cura dell’immagine che si fornisce della disciplina nelle sedi scientifiche, nella comunicazione e nel dibattito pubblico;
  • l’interesse per il benessere di tutte le persone che a vario titolo partecipano alle diverse fasi della ricerca.

 

L’antropologo riconosce a se stesso piena autonomia di lavoro, sia a livello teorico (scelta di metodi, prospettive e collaborazioni) sia a livello pratico (indipendenza delle proprie condizioni di ricerca), con assunzione di piena responsabilità per il proprio operato.

Il metodo etnografico è la principale prassi (anche se non l’unica) esercitata dagli antropologi nella ricerca attraverso l’interazione individuale, lo scambio dialogico e l’osservazione dei contesti attraverso l’osservazione partecipante e la partecipazione osservante implica il rispetto di alcuni principi etici fondamentali.

La stretta e spesso prolungata relazione degli antropologi con le persone appartenenti ai vari contesti di studio implica l’instaurarsi di relazioni personali e morali, fondate su fiducia e reciprocità, tra il ricercatore e i partecipanti alla ricerca. Ne consegue che essi, nel realizzare le proprie indagini e nell’applicare i propri metodi, dovrebbero essere consapevoli dei limiti del proprio operare, e in particolare che:

 

  • non hanno alcun diritto speciale a studiare tutti i fenomeni;
  • il progresso della conoscenza e la raccolta del materiale etnografico non sono di per sé sufficienti giustificazioni per ignorare i valori e gli interessi di coloro con i quali si sta svolgendo indagine etnografica;
  • i partecipanti hanno il diritto di essere informati circa la possibilità di ritirarsi dalla ricerca in qualsiasi momento;
  • le personali annotazioni prese durante la ricerca di campo, nonché gli altri risultati della raccolta del materiale etnografico, sono di proprietà esclusiva e privata del ricercatore e pertanto egli è responsabile della loro specifica tutela;
  • la protezione dei dati personali rappresenta la modalità più importante per tutelare i partecipanti alla ricerca. Gli antropologi si impegnano a tutelare, per quanto possibile tutto il materiale etnografico prodotto dalle loro ricerche da qualsiasi accesso non autorizzato e si assicurano – quanto più è possibile – che niente di quanto da loro stessi diffuso possa produrre un danno agli individui o metta la loro sicurezza a rischio.

Art. 2 – Responsabilità verso persone, animali e soggetti non umani e verso le comunità coinvolte nella ricerca

Comma 1 – Protezione delle persone che collaborano alla ricerca

Gli antropologi fanno presente a coloro che partecipano alla ricerca le possibili conseguenze delle loro scelte e chiariscono che, a dispetto degli sforzi, anche l’anonimato – laddove si renda necessario – può essere compromesso oppure fallire.

Il lavoro di ricerca e le attività pratiche ad esso connesse sono condotti in modo da non procurare danni morali o materiali ai soggetti coinvolti.

La stessa attenzione va prestata al momento della comunicazione e della diffusione dell’informazione.

Chi svolge la ricerca è responsabile del modo in cui tutti coloro che collaborano ad essa trattano coloro che partecipano alla ricerca stessa. Occorre perciò accertarsi delle rispettive competenze relazionali e scientifiche.

Comma 2 – Riconoscimento del contributo delle persone coinvolte nella ricerca

I ricercatori – considerato che le ricerche antropologiche sono frequentemente svolte in collaborazione stretta e continuata con un numero limitato di “interlocutori” – fanno esplicito riferimento nelle loro pubblicazioni all’apporto fondamentale ricevuto da questi ultimi, fino alla attribuzione – nei casi opportuni – della qualifica di co-autori, e indicano con chiarezza la natura e le condizioni della collaborazione (se onerosa o gratuita).

 

I ricercatori riconoscono alle loro fonti di informazione gli eventuali diritti economici che possano scaturire dalla pubblicazione – in co-autorìa – dei risultati delle ricerche (diritti d’autore) e anche dallo sfruttamento commerciale delle informazioni raccolte (uso di piante medicinali, diffusione di oggetti di artigianato, ecc.).

 

Gli antropologi possono autonomamente scegliere di fare seguire alla diffusione dei risultati della ricerca anche una forma di patrocinio delle comunità studiate.

Comma 3 – Restituzione nella ricerca etnografica

L’antropologo informa e rende partecipi degli esiti della ricerca gli interlocutori coinvolti, o almeno dei risultati che può produrre il lavoro scientifico (pubblicazioni, documentari, convegni, inventari di catalogo, mostre, ecc.).

In particolare, attiva tutte le forme possibili di condivisione del sapere prodotto e di restituzione delle conoscenze elaborate dall’esperienza di ricerca, valutando caso per caso le modalità e le possibilità di azione più idonee allo specifico terreno. Ove possibile, la restituzione delle interviste, degli oggetti e delle testimonianze fa parte di una politica della ricerca che considera il terreno come un luogo nel quale agire con responsabilità etica nei confronti dei soggetti coinvolti in una relazione di rispetto e scambio reciproco. La restituzione pubblica terrà conto – per quanto è possibile – delle conseguenze che ogni azione di condivisione dei dati produce sul campo, una volta resi pubblici.

Comma 4 – Responsabilità nei confronti delle comunità coinvolte nella ricerca

L’antropologo è consapevole del carattere politicamente posizionato dei gruppi (o delle comunità) entro cui svolge le sue ricerche, nonché delle legittime aspettative degli stessi a rappresentarsi sullo scenario politico con proprie rivendicazioni in termini anche di ‘diritti culturali’.

Sul piano internazionale questo riconoscimento delle “comunità” quali soggetti portatori di diritti ‘identitari’ si salda con il riconoscimento dei diritti dei popoli indigeni e con i temi attinenti alla cittadinanza attiva e alla partecipazione alla vita sociale. E, infatti, le recenti Convenzioni internazionali nel campo dei patrimoni culturali (come ad es., Unesco 2003 e Faro 2005, la Convenzione 169 dell’OIT del 1989 o la Dichiarazione sui Diritti delle Popolazioni Indigene delle Nazioni Unite del 2007) sono divenute strumenti internazionali, che, più che rivolgersi ai diritti individuali, vedono nelle “comunità” nuovi soggetti portatori di esercizio democratico di diritti.

L’antropologo, sia nella ricerca etnografica che nella produzione scientifica, terrà nella dovuta considerazione tanto le legittime esigenze di autorappresentazione dei soggetti collettivi quanto la libertà del proprio operare, giungendo a conclusioni sensibili al contesto.

 

 

Comma 5 – Responsabilità nei confronti del mondo animale, vegetale e non-umano in genere

Chi fa ricerca utilizzando soggetti del mondo animale, vegetale e in generale non umano è responsabile non solo del trattamento che essi ricevono durante il lavoro sul terreno, ma anche del loro rispetto e benessere fisico e psicologico per l’intero corso della ricerca.

Art. 3 – Consenso informato

Il ricercatore mette a conoscenza i partecipanti alla ricerca della sua presenza e delle sue intenzioni, in tempi e modi ragionevolmente adeguati al contesto di appartenenza e/o di studio.

Qualora si dovesse ricorrere ad attività non esplicite di ricerca (ad es., la ricerca “coperta”), è dovere etico dell’antropologo mettere in campo tutte le azioni possibili, nelle diverse fasi del lavoro e della divulgazione dei risultati, per evitare di danneggiare i soggetti coinvolti.

È opportuno che gli antropologi ottengano il previo consenso informato delle persone che essi studiano, fornendo informazioni, garantendo un uso corretto del materiale prodotto e offrendo un dialogo continuo con i soggetti interessati.

Essi sono altresì responsabili dell’identificazione e dell’osservanza dei vari codici di consenso informato, nonché delle normative che riguardano i propri progetti. Il consenso informato, ai fini del presente Codice, non richiede una particolare forma scritta, quanto la qualità della consapevolezza.

Gli antropologi stabiliscono rapporti basati su consenso informato con coloro con cui sviluppano forti e durevoli relazioni, con gli informatori, o con chi li ospita, curando con rispetto la relazione.

Art. 4 – Diritto alla riservatezza e all’anonimato

L’antropologo si impegna alla pratica della riservatezza nei confronti delle informazioni ricevute e delle fonti specifiche delle stesse, come anche dei nomi e degli interessi concreti di persone o gruppi coinvolti, avendo cura di garantire una consultazione informata, quale condizione indispensabile per il corso della ricerca.

La partecipazione alle ricerche scientifiche è volontaria e prevede la conoscenza dettagliata degli scopi e dei metodi specifici dei progetti di ricerca; gli antropologi si impegnano a garantire l’eventuale anonimato, sia in fase di ricerca sia nella diffusione delle conoscenze.

Vanno comunque tutelati, per quanto possibile, tutti i dati relativi alle persone, anche in assenza di un esplicito consenso. Particolare attenzione andrà dedicata al trattamento digitale delle fonti etnografiche. L’obbligo etico alla riservatezza sulle persone implica che le informazioni confidenziali debbano essere trattate con discrezione da parte di tutti i membri dei gruppi di ricerca. Sta alla responsabilità del direttore del progetto e dei collaboratori informare i partecipanti circa l’indagine e proteggere l’accesso al materiale confidenziale.

Chi svolge la ricerca deve essere disponibile a rispondere alle richieste o ai dubbi che insorgessero anche nelle fasi successive del lavoro.

Art. 5 – Responsabilità nei confronti di sponsor, finanziatori e datori di lavoro

In tutti i rapporti con i committenti, chi svolge attività di ricerca si impegna all’obbligo morale dell’onestà circa le proprie qualifiche, capacità, e finalità di lavoro.

Si impegna altresì a valutare previamente che le finalità e gli obiettivi delle ricerche proposte non siano in contrasto con l’etica della disciplina e della professione.

 

Comma 1 – Ricerca commissionata da Enti istituzionali di finanziamento alla ricerca

Per quanto riguarda i finanziamenti alla ricerca provenienti da Enti istituzionali, sia nazionali che internazionali, i ricercatori avranno cura di rendere visibile e dichiarare apertamente la fonte del finanziamento, i contenuti della ricerca, tanto nel corso della stessa quanto in maniera esplicita e formale nelle pubblicazioni che potranno scaturirne, rispettando tempi e impegni.

Comma 2 – Ricerca commissionata da Enti diversi

Per quanto riguarda i finanziamenti ottenuti da Enti diversi da quelli di cui al comma precedente (Regioni, Province, Enti locali, Istituzioni private, Ministeri o Soggetti pubblici di intervento pratico sulla realtà sociale, Organizzazioni Internazionali), i ricercatori mostreranno di conoscere in maniera dettagliata le finalità istituzionali di ciascun ente finanziatore, la natura e i caratteri delle richieste esplicite e delle aspettative delle suddette istituzioni, gli spazi di libertà e di autonomia previsti dalle medesime per il ricercatore. Anche in questo caso, si curerà la compatibilità dei prodotti richiesti con gli standard indicati nel presente Codice.

Comma 3 – Altre tipologie di collaborazione su commissione

Le attività di collaborazione esterne e collaterali al processo di produzione della conoscenza, laddove siano finanziate da Enti pubblici e privati, possono essere classificate, essenzialmente, come segue:

  1. a) contributi alla formazione di funzionari e tecnici;
  2. b) prestazione di conoscenze specialistiche (expertiseantropologica);
  3. c) conduzione di ricerche ad hoc.

 

Per quanto riguarda gli eventuali sostegni economici a proprie iniziative di studio e di divulgazione (pubblicità, sponsorizzazioni), l’antropologo avrà cura che non siano in contrasto con i principi di uguaglianza, rispetto e pacifica convivenza tra popoli e culture diverse.

Art. 6 – Relazione con il proprio governo e con quello dei Paesi ospitanti

Il ricercatore rispetta i codici normativo-valoriali, le disposizioni comportamentali, i quadri normativi e le leggi degli Stati cui appartengono i gruppi studiati. Nel caso in cui il ricercatore intenda dissociarsi da norme o pratiche locali, per propria convinzione o nell’intento di fare prevalere il rispetto di regole universali unanimemente concordate dalla comunità internazionale – come, per esempio, nel caso del rispetto dei diritti umani – egli dovrà assumersi esplicitamente la responsabilità personale nei confronti della comunità locale, distinguendo tale responsabilità da quella della disciplina che rappresenta.

Comma 1 – Condizioni di accesso al campo

Gli antropologi si assumono l’impegno di onestà e sincerità nei rapporti con il proprio governo e con quello ospitante, senza compromettere il proprio ruolo per ottenere l’accesso alla ricerca.

Comma 2 – Ricerca all’estero

La ricerca condotta al di fuori del proprio Stato solleva specifiche questioni etiche e politiche. Gli antropologi ne terranno conto quando si trovano sul campo, rivolgendo particolare attenzione anche alla eventuale disparità economica che dovesse manifestarsi tra loro e i colleghi stranieri.

Comma 3 – Condotta di ricerca per preservare l’accesso al campo per futuri antropologi

Gli antropologi che conducono ricerca all’estero sono consapevoli che azioni non adeguatamente meditate possono rischiare di compromettere l’accesso al campo per se stessi e per altri. Particolare attenzione si offrirà in caso di richieste di consulenza per governi, aziende multinazionali, forze militari che non mostrino di dare priorità ai diritti e agli interessi della popolazione locale.

Comma 4 – Vincoli giuridici ed amministrativi correlati all’attività di ricerca

Gli antropologi sono consapevoli che possono esistere leggi nazionali e internazionali o regolamenti amministrativi che potrebbero influenzare lo svolgimento delle loro ricerche, come ad esempio questioni relative alla diffusione e alla conservazione dei dati, alla pubblicazione e ai diritti dei soggetti di ricerca, degli sponsor e dei datori di lavoro. Sono altresì consapevoli che, in genere, le informazioni raccolte durante la ricerca antropologica non sono esenti dal controllo giuridico e normativo e possono essere soggetti a citazione legale. Pur nella suddetta consapevolezza, l’antropologo si potrà appellare al rispetto dell’anonimato della propria fonte e al diritto alla libertà di ricerca. In caso di controversie giuridiche che coinvolgano il socio a causa della propria attività di ricerca, la SIAC promuoverà le azioni che riterrà opportune per salvaguardare il diritto alla libertà di ricerca del socio.

Sezione-3 Didattica e comunità scientifica

Gli antropologi rispettano gli orientamenti legati alla ricerca e beneficiano dell’accesso ai dati etnografici anche in virtù del proprio ruolo professionale. Essi riconoscono la propria appartenenza alla più ampia comunità antropologica, e mantengono seri impegni con essa in termini di trasparenza, responsabilità e dimensione etica del lavoro, quali strumenti basilari di formazione, riflessione e discussione all’interno della disciplina.

 

Art. 7 – Rapporti scientifici con i colleghi e responsabilità verso la disciplina

Gli antropologi si impegnano a riconoscere l’importanza del confronto intellettuale con i colleghi in ambito accademico, istituzionale e di ricerca. Si adoperano nelle forme più adeguate affinché nella comunità professionale sia promosso il dibattito scientifico, siano costruite occasioni di confronto e siano garantiti canali di circolazione e di scambio con altre discipline.

Le relazioni con i tutti i colleghi, nel campo tanto della formazione quanto della ricerca, saranno improntate allo spirito collaborativo e al rispetto reciproco.

 

Comma 1 – Responsabilità individuale

Gli antropologi sono consapevoli della inevitabile presenza di dilemmi etici durante il loro lavoro e si impegnano a fare tutti gli sforzi necessari per considerare i possibili problemi. Tra queste precauzioni c’è l’impegno a preservare e riaffermare la scientificità della disciplina e dei suoi professionisti al fine di salvaguardare la possibilità di accesso ad ogni campo, presente e futuro. Rimane comunque prioritario assicurare la protezione dei dati dell’indagine etnografica ad uso delle generazioni future. Gli antropologi si impegnano a non ledere la sicurezza, la dignità o la privacy delle persone con cui operano e a seguire le regole morali della condotta scientifica.

Comma 2 – Conflitti di interesse e considerazione per i colleghi

Gli antropologi si impegnano a riconoscere eventuali conflitti di interesse (professionali e politici) tra colleghi, nonché tra ricercatori e interlocutori locali, in particolare nella ricerca all’estero; pertanto è auspicabile:

  1. a) la consultazione con gli antropologi che hanno già lavorato o lavorano nel territorio di ricerca;
  2. b) il coinvolgimento degli studiosi locali.

Comma 3 – Valutazione, giudizio, e contestazione nei confronti di colleghi

Le valutazioni e i giudizi sulle attività di ricerca e sulle pubblicazioni degli altri studiosi saranno formulate in modo rispettoso, sereno e argomentato, e finalizzate al desiderio di arricchire la conoscenza e apportare nuove soluzioni alle ricerche.

Gli antropologi si impegnano ad astenersi dall’esprimersi in maniera lesiva della persona e della reputazione professionale dei ricercatori colleghi. Costituisce aggravante il fatto che tali giudizi siano collegabili a vantaggi diretti e immediati.

 

Comma 4 – Condivisione dei materiali di ricerca

L’accesso al materiale etnografico e ai risultati della sua elaborazione va reso possibile a chi ne faccia motivata richiesta e pertanto l’autore o il coordinatore della ricerca ne garantisce la conservazione per eventuali usi conoscitivi futuri, tenendo nel debito conto i diritti delle persone e degli enti riconosciuti come degni di protezione.

In particolare, il principio della condivisione dei dati deve tenere conto delle seguenti possibili circostanze e limitazioni:

  • la disponibilità locale delle ricerche fatte, anche in forma di traduzione
  • la precauzione nell’uso dei dati al fine di evitare quanto più è possibile danni ai collaboratori;
  • il ragionevole equilibrio fra dati raccolti e dati resi pubblici;
  • l’attenzione, in specie in regime di condivisione dei dati, per le regole della privacy e le garanzie della riservatezza.

Comma 5 – Ricerca collaborativa e di gruppo

Nei casi di collaborazione saranno debitamente chiariti gli obblighi etici, deontologici e professionali a cui le varie parti sono tenute a rispondere. Particolare attenzione sarà rivolta a questioni quali la divisione del lavoro, le responsabilità, l’accesso ai diritti e ai dati in campo, l’uso dichiarato di strumentazioni di rilevamento documentario, la pubblicazione, la co-autorialità, la responsabilità professionale, ecc. I rapporti con i colleghi di altre discipline saranno caratterizzati da pari forme di rispetto, cortesia e spirito collaborativo.

Comma 6 – Trasparenza nell’accesso all’informazione sulle opportunità lavorative in ambito universitario

Gli antropologi condividono il principio della trasparenza e dell’accesso paritario alle informazioni riguardanti le selezioni su base comparativa e sono invitati a comunicare notizie riguardanti i concorsi per le posizioni lavorative e le opportunità di docenza e/o ricerca nell’ambito delle discipline demo-etno-antropologiche, nelle proprie e altrui sedi universitarie, usando canali comunicativi adeguati.

La SIAC mette a disposizione i canali informativi dell’Associazione ed esorta i propri soci ad utilizzarli per promuovere la massima diffusione di tali informazioni.

 

Art. 8 – Responsabilità verso gli antropologi in formazione

I cultori delle discipline demo-etno-antropologiche, aventi incarichi di responsabilità, improntano i rapporti con tutti i collaboratori e in particolare con i soggetti in fase di formazione, ispirandosi ai seguenti principi generali:

 

  • rispetto e garanzia per le scelte personali di ricerca,
  • uso non personale delle prestazioni di servizio,
  • garanzia della erogazione didattica istituzionalmente dovuta.

 

I formandi saranno messi a conoscenza dei principi etici nonché in condizione di discutere i problemi che possono sorgere durante le fasi di lavoro sul campo o di scrittura.

Tra i principi basilari che gli antropologi insegnanti/tutor, supervisori accademici o direttori di progetto, dovrebbero seguire, ricordiamo i seguenti:

– condurre i programmi di insegnamento in modo da escludere discriminazioni sulla base del genere, dello stato civile, dell’appartenenza sociale, delle convinzioni politiche, della disabilità, della religione, dell’origine nazionale, dell’orientamento di genere, dell’età e di ogni altro criterio lesivo della dignità umana per i soggetti interessati;

– migliorare le tecniche di insegnamento/formazione; essere disponibili e sensibili agli interessi dei formandi; offrire consulenza in modo realistico riguardo alle opportunità di carriera; supervisionare con coscienza, incoraggiare e sostenere gli studi; essere corretti e affidabili nella comunicazione delle valutazioni; assicurare il sostegno alla ricerca; valorizzare la partecipazione attiva e critica dei formandi e rispettare i loro specifici interessi; aiutarli, quando possibile, nella ricerca di un collocamento professionale;

– porre attenzione all’osservanza dei principi che presiedono a un corretto rapporto tra insegnanti e allievi, in ogni sede formativa;

– mettere a disposizione dei formandi l’intero patrimonio professionale di cui si dispone e consentire il pieno accesso alla documentazione scientifica in proprio possesso; evitare forme improprie e semplificative di trasmissione delle conoscenze;

– informare sulla pluralità delle teorie e metodologie esistenti, e sui diversi punti di vista – anche distanti dal proprio – in modo da favorire la consapevole acquisizione della complessità e della problematicità dei risultati del lavoro antropologico;

– illustrare le sfide etiche implicite in ogni fase del lavoro antropologico; incoraggiare a riflettere su questo e altri codici; incoraggiare il dialogo su questioni deontologiche; problematizzare la partecipazione a progetti eticamente discutibili;

– assistere nella ricerca e nella preparazione del lavoro; rendere disponibili documenti di presentazione che agevolino l’inserimento sul campo di ricerca; compensare economicamente la partecipazione alle attività professionali;

– sviluppare buone pratiche di insegnamento e di ricerca, impegnandosi a non utilizzare materiali di editing prodotti da altri;

– incoraggiare la pubblicazione di documenti meritevoli o restituire appropriato credito alle forme di co-autorialità.

– prevedere la nominalità dell’uso delle fonti scritte od orali, prodotte dai formandi, nel rispetto del diritto alla privacy, oltre che nella tutela dei diritti della persona;

– porre seria attenzione ai conflitti di interesse che possono sorgere qualora i docenti si impegnino in relazioni affettive e/o sessuali con i formandi.

Sezione-4 Disseminazione della conoscenza

Le linee guida deontologiche si applicano a tutti gli ambiti del lavoro antropologico. Nella progettazione quanto nella ricerca, gli antropologi devono essere chiari con i finanziatori, con i colleghi, gli interlocutori coinvolti, con coloro che forniscono informazioni e con le parti interessate circa gli scopi, i potenziali impatti e il sostegno alla ricerca. I ricercatori che mettono in pratica progetti di antropologia applicata si impegnano a utilizzare in modo appropriato i risultati del lavoro entro un tempo ragionevole, e nelle stesse forme fin qui esposte.

Dato che gli antropologi possono essere chiamati a svolgere molti tipi di lavoro, spesso coinvolgendo individui e gruppi con interessi diversi e talvolta contrastanti, occorre prendere in attenta considerazione le scelte etiche e le loro motivazioni.

In tutti i rapporti con i datori di lavoro, le persone assunte per svolgere ricerche etnografiche o per applicare conoscenze antropologiche dovrebbero dichiarare onestamente le proprie qualifiche e gli obiettivi, ove possibile. Prima di assumere qualsiasi impegno professionale dovrebbero esaminare gli scopi dei potenziali committenti, tenendo conto delle attività trascorse e degli obiettivi previsti da questi ultimi. In ogni caso si dovrà prestare particolare attenzione a non accettare condizioni contrarie all’etica professionale e disciplinare.

Art. 9 – Diffusione della ricerca in sedi scientifiche

In occasione della comunicazione e della diffusione delle ricerche in sedi scientifiche gli antropologi si impegnano a rispettare i seguenti principi generali:

  • non presentare né pubblicare, in alcuna sede, dati falsificati, inventati, plagiati o distorti in tutto o in parte; non utilizzare dati raccolti in altre ricerche, senza citare le relative fonti o senza ottenere il consenso da parte di chi le ha condotte;
  • esplicitare il proprio ruolo e la propria responsabilità riguardo ai dati raccolti, fermo rimanendo il riconoscimento singolare alla ricerca e alla sua pubblicazione;
  • presentare in sede scientifica lavori originali di ricerca, salvo espliciti riferimenti a progetti pregressi;
  • esplicitare in maniera analitica i riferimenti ai materiali altrui, editi o inediti;
  • evitare un uso del linguaggio che manifesti forme di discriminazione di genere, di etnia, di religione o di qualsivoglia gruppo o minoranza;
  • i diritti sulla proprietà dell’autore e l’ordine degli autori – se non indicato altrimenti – corrispondono al contributo dato al processo di ricerca e alla pubblicazione;
  • non omettere deliberatamente l’indicazione di sviluppare un’idea altrui nel proprio lavoro, anche nel caso di dati e materiali ricevuti verbalmente;
  • nelle pubblicazioni favorire lo scambio critico tra studiosi, indicando le regole che chiariscono le modalità di espressione delle opinioni e le possibilità di replica.

 

Art. 10 – Rapporti con il pubblico e con i mezzi di comunicazione di massa

I ricercatori antropologi sono direttamente responsabili degli interventi personali effettuati attraverso i mezzi di comunicazione di massa. Gli apporti scientifici in tale ambito dovrebbero seguire gli orientamenti indicati qui di seguito:

 

– avere cura di sostenere idee con adeguate argomentazioni e comprovata esperienza professionale;

– evitare di presentare come definitivi i dati preliminari per i quali non vi sia ancora un assodato consenso scientifico;

– evitare di personalizzare il rapporto con i destinatari della ricerca antropologica; astenersi dall’esprimere valutazioni e giudizi, qualora si sia privi di un’adeguata documentazione, frutto della propria o altrui conoscenza approfondita del caso;

– nel processo di diffusione delle conoscenze, evitare modalità impropriamente semplificate di divulgazione, adoperandosi affinché le informazioni siano comprensibili ma adeguate alla resa del contesto; si dedicherà particolare attenzione a evitare forme espositive e argomentative che possano alimentare stereotipi e pregiudizi, privilegiando al contrario pratiche discorsive utili alla problematizzazione e – ove possibile – alla ricostruzione storica del sapere;

– adoperarsi, laddove gli interventi intrapresi abbiano funzione educativa e didattica, a facilitare la pubblica comprensione e la partecipazione, ricorrendo eventualmente alla collaborazione scientifica di esperti di settore;

– nei casi in cui la divulgazione della conoscenza antropologica venga effettuata da non specialisti, attraverso i mezzi di comunicazione di massa (stampa, radio, televisione, ecc.). l’antropologo vigilerà sulla correttezza dell’informazione e sulla fondatezza e documentazione delle posizioni sostenute da altri, ricorrendo al diritto di critica quando sia necessario, allo scopo di difendere l’immagine della disciplina e il riconoscimento pubblico dei risultati effettivi della ricerca;

– nei casi in cui sia egli stesso a praticare forme di divulgazione attraverso mezzi di comunicazione di massa, l’antropologo avrà cura di vigilare sulla corretta trasmissione dei personali apporti conoscitivi.

Va tenuto presente che in tali situazioni e contesti si deve optare per inevitabili processi di rapida sintesi e per uno stile essenzialmente divulgativo, perché in linea con gli specifici fini comunicativi dei mezzi di comunicazione in atto. Nella comunicazione e diffusione delle conoscenze, l’antropologo valuterà attentamente se trattare direttamente alcuni argomenti oppure chiedere l’ausilio di colleghi specialisti, al fine di corrispondere alle richieste dei destinatari e, al contempo, rappresentare al meglio l’immagine delle discipline demo-etno-antropologiche. Nei suoi interventi di divulgazione attraverso i mezzi di comunicazione di massa, l’antropologo avrà cura di distinguere fra apporti individuali e quadri conoscitivi disciplinari di ampio consenso, favorendo, nelle sedi di divulgazione scientifica, un atteggiamento di critica riflessiva basato su documentazione pertinente;

– sostenere e promuovere il ruolo formativo e partecipativo dei musei antropologici e le nuove figure esperte presenti nelle istituzioni pubbliche. L’antropologo favorirà e solleciterà l’accesso del pubblico nei musei, vigilando al tempo stesso sulla piena disponibilità della documentazione scientifica in essi custodita. Dovrà altresì caldeggiare l’utilizzazione di personale professionalmente competente ed esperto in didattica museale e patrimoniale per favorire l’apprendimento e la fruizione delle conoscenze da parte del pubblico, evitando forme di divulgazione semplificata ed impropria;

– assicurarsi che la diffusione e l’impiego di beni culturali demo-etno-antropologici, sia materiali che immateriali, appartenenti a esposizioni personali o a musei, in trasmissioni televisive e/o in pubblicazioni a mezzo stampa, siano effettuati secondo gli orientamenti propri delle discipline antropologiche. L’antropologo che intenda utilizzare i suddetti materiali a fini di studio dovrà citare le fonti originarie e il nome di chi ne ha reso possibile la fruizione.

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