Panel 21

A casa lontano da casa. Legami sociali, home-making, conflitti e territorialità nei rituali della migrazione

Panel 21 / Quarto Convegno Nazionale SIAC “Il ritorno del sociale”, Sapienza Università di Roma, 21-22-23 settembre 2023

Proponenti: Vita Santoro (Università della Basilicata), Giovanni Cordova (Università di Catania)

Discussant: Domenico Copertino (Università della Basilicata), Giuliana Sanò (Università di Messina)

Abstract

Obiettivo di questo panel è l’esplorazione delle riconfigurazioni, frammentazioni e intessiture del legame sociale nei contesti di migrazione in seguito all’attivazione di scenari, processi e dispositivi rituali (sia religiosi che secolari). Attraverso i rituali, i migranti attivano diverse dinamiche di territorialità, costruendo spazi sociali significativi tra i poli della mobilità transnazionale: nuova territorializzazione, come insediamento nei contesti di approdo; territorializzazione in comunità globali; riterritorializzazione nelle pratiche di home-making e place-making. I rituali si configurano come momenti necessari mediante cui combattere lo spaesamento e la nostalgia, ridefinire le identità comunitarie e le appartenenze politiche, fronteggiare i momenti critici dell’esistenza.
Sono benvenute proposte che, originando da ricerche etnografiche, si focalizzino sui seguenti ambiti tematici:
– la relazione tra rituali, appartenenze e spazio pubblico (urbano e rurale);
– i rituali e la ri-definizione delle “comunità migranti” (leadership, egemonia e conflitto veicolati dall’agency rituale);
– le coordinate di genere/generazione nei processi rituali in migrazione;
– le connessioni transnazionali che il rituale sostiene e da cui è a sua volta alimentato;
– le “politiche” del rituale (la richiesta di riconoscimento nella sfera pubblica o il contrasto ai processi di esclusione).
– innovazione e trasformazione rituale; idee di autorità e tradizione; nuovi movimenti religiosi plasmati dalla migrazione;
– ritualità domestica e inedite configurazioni del Sé.

Keywords: rituali, migrazioni, territorialità, home-making, sfera pubblica

Lingue accettate: Italiano / English

 

Sessione I

Venerdì 22/9/2023, ore 14.30-16.15, aula Supino Martini, Terzo piano

Eugenio Giorgianni (eugenio.giorgianni@unime.it) (Università di Messina), Il diritto al miracolo. Intimità sacra, politica e prestigio rituale nella devozione induista a Santa Rosalia

L’intervento esplora la devozione a Santa Rosalia di alcuni mauriziani induisti residenti a Palermo. A partire dalle nuove pratiche rituali dedicate alla santa locale, i migranti configurano la loro partecipazione allo spazio pubblico palermitano e riformulano il proprio orizzonte devozionale in base ai bisogni, ai desideri e alle angosce legate alla mobilità. La presenza di Santa Rosalia e della sua montagna sacra costituisce una fondamentale risorsa spirituale per gli induisti mauriziani di Palermo e facilita la creazione di spazi sacri migranti nel tessuto urbano. L’intercessione della santa consente alle divinità induiste di transitare nel territorio palermitano e di ricostruire i propri contesti devozionali. La dimensione sensoriale e paesaggistica del pellegrinaggio, il senso di communitas, le risonanze tra il culto a Santa Rosalia e le esperienze del sacro mauriziane rendono la nuova devozione un potente dispositivo di appaesamento. Le nuove pratiche cultuali rappresentano la rivendicazione da parte dei migranti del diritto all’intervento miracoloso della santa – in autonomia o in collaborazione con altri dei – e li includono nelle dinamiche politiche della città, sebbene in una dimensione marginale. L’intimità con la santa cattolica costituisce per i più ferventi devoti induisti una fonte di prestigio spirituale legata alla mobilità, che si trasmette attraverso le reti della diaspora e produce inedite forme di intercessione votiva a distanza veicolate dai social media.

Leone Michelini (leone.michelini93@gmail.com) (Università degli Studi di Messina), “Finalmente domenica”. Migrazione, religione e politiche del rituale tra i migranti Malayali della Chiesa Cattolica Siro-Malabarese in Sicilia

Nell’etnografia condotta nella città siciliana di Patti, la liturgia domenicale assurge a dispositivo rituale “totale” con cui i migranti Malayali, provenienti dal Kerala e appartenenti alla Chiesa cattolica Siro-Malabarese, danno vita a una comunità transnazionale e a processi di territorializzazione. Il ritrovo per la messa a San Nicolò di Bari, shared/mixed church, nella riappropriazione dello spazio pubblico della piazza, infrange l’invisibilità e la dispersione caratterizzanti la presenza dei caregiver malayali, che lavorano a domicilio seguendo la “domanda di cura” in tutta la provincia di Messina, e li sottrae al dominio delle “domopolitiche” riservate ad altre comunità migranti. Il rito, officiato in Malayalam dal cappellano indiano e “ospitato” dai parroci locali, alimenta le relazioni transnazionali tra diocesi di Patti e Chiesa Siro-Malabarese alle radici della migrazione; rivela le soggiacenti dinamiche di inclusione/separazione nella società ospitante, le tensioni di genere e tra gruppi etnoreligiosi, la ristrutturazione delle leadership attraverso la designazione dei depositari dell’agency rituale. Le “politiche del rituale”, espresse nelle prediche, insistono sul valore religioso del sacrificio, della transitorietà e della “doppia assenza” dell’esperienza migratoria. I riti “secolari” ancillari, come la condivisone del pranzo, le distribuzioni di denaro e l’invio delle rimesse, rinsaldano i legami coniugali e lavorativi, con i famigliari e i leader comunitari.

Stefano Allovio (stefano.allovio@unimi.it) (Università di Milano), Lo spirito della “parcelle” e l’etica del capitalismo. Strategie per “fare casa” nelle comunità congolesi in Sudafrica (Cape Town)

Molti congolesi emigrati in Sudafrica negli ultimi decenni costituiscono associazioni di mutuo aiuto basate sulla comune origine territoriale degli aderenti. Le retoriche esplicitate e alcune azioni performative messe in atto durante le riunioni delle associazioni rimandano a una razionalità moderna tesa all’efficienza gestionale e all’efficacia delle proposte per il raggiungimento di un benessere materiale. Il lavoro etnografico, svolto nei sobborghi di Cape Town (2015-2018), ha fatto emergere, invece, quanto siano centrali gli aspetti conviviali e ricreativi delle riunioni. Non di rado, le riunioni diventano l’occasione per celebrare (apparentemente “a margine” delle stesse) eventi riconducibili al ciclo di vita degli aderenti e dei loro famigliari (nascite, matrimoni, funerali); ciò avviene attraverso una appropriata ricreazione di ciò che si può definire “l’atmosfera della parcelle”: un modo per fare casa lontano da casa. All’interno delle associazioni di mutuo aiuto congolesi pare che la dimensione conviviale e ricreativa sia molto più importante di quanto si voglia fare apparire. L’ipotesi avanzata è che gli aspetti conviviali e ricreativi vengono parzialmente dissimulati perché si pensa possano essere visti come non consoni a una morale classica della praxis moderna e modernizzatrice basata su una accezione parziale di “capitale sociale” e su principi di razionalità economica e di gestione connessi agli elementi produttivi e disancorati dagli elementi ricreativi.

Francesco Della Costa (f.dellacosta@gmail.com) (Università di Milano Bicocca), Né a casa, né qui. Doppia assenza, doppia sineddoche e una festa filippina in Israele

Il mio contributo al tema proposto dal panel intende prendere come riferimento dialettico il concetto e l’immagine fecondi della “doppia assenza”, che risalgono alla famosa opera postuma di Abdelmalek Sayad (1999). Nella relazione etnografica con una comunità di filippini cattolici a Rehovot, in Israele, ho avuto modo di studiare la festa di Flores de Mayo, un complesso rituale che prevede una sfilata in costume per la città, la celebrazione della Messa e una serie di “rappresentazioni” legate al culto di Mama Mary e alla storia di Sant’Elena e della Inventio Crucis. Tra la festa che ho osservato e il modello tradizionale celebrato nelle Filippine si possono cogliere vari rapporti sineddotici, in cui l’esperienza storica del rito in contesto migratorio e la riproposizione nostalgica del vissuto festivo “a casa” si pongono come livelli diversi di una seconda relazione sineddotica con un frame mitico che, in Israele-Terra Santa, si fa altro. Seguendo Todorov (1970), si può vedere in questa “doppia sineddoche” cui il rito dà vita una attiva metaforizzazione dell’esperienza migrante che si sostanzia nella riconfigurazione di uno spazio sociale “possibile”, dentro il quale si opacizzano non solo il qui ed ora, ma anche il passato e l’origine. Nel rito la doppia assenza del migrante coincide con la sua doppia presenza.

Antonio Umberto Mosetti (mosetti.1820159@studenti.uniroma1.it) (Sapienza Università di Roma), Costruire relazioni attraverso i luoghi: pratiche di territorialità e ritualità nel caso di una cooperativa agricola di migranti

I contributi della “svolta delle mobilità” (Urry, 2003) permettono di riflettere sulla realtà sociale – e sui fenomeni sociali di movimento – cogliendo la fluidità e l’evanescenza dei luoghi come espressioni particolari di processi di mobilità. In questo senso, gli studi sulle migrazioni possono dare conto in maniera più approfondita dei rapporti tra spazi e persone in movimento, senza cadere nell’errore di comprendere i luoghi come fissità. Appartenenza, territorialità, emplacement e displacement vanno studiati come processi di relazione con lo spazio ma anche come processi di creazione di relazioni attraverso il movimento nello spazio stesso. È questo il caso di migranti dell’Africa Occidentale a Roma che, attivi nel settore agricolo in una cooperativa indipendente, ridisegnano quotidianamente i propri rapporti con luoghi e persone attraverso lo spostamento tra campagna e città. In questo continuo movimento si costruiscono pratiche rituali di comunità che utilizzano il rapporto con i luoghi per costruire, ribadire, ridefinire relazioni: per esempio il consumo di pasti comuni in ambienti che vengono assimilati a quelli africani, o l’utilizzo dei luoghi ottenuti in gestione per la celebrazione di ricorrenze religiose. È proprio tramite le relazioni create che si può parlare di appartenenza, ed è grazie all’uso creativo dei luoghi che le persone in movimento costruiscono la propria realtà e partecipano – tanto quanto i “locali” – all’ambiente spaziale di transito o arrivo.

 

Sessione II

Venerdì 22/9/2023, ore 16.45-18.30, aula Supino Martini, Terzo piano

Antonio Stopani (antonio.stopani@unito.it) (Università di Torino), Comunità di pratica e pratiche di comunità tra i camerunensi ad Atene

Ad Atene, immigrat* e migranti camerunensi si riuniscono in collettivi secondo coordinate di genere, di anzianità di residenza o di classe di cui una Comunità del Camerun, entità tutt’oggi informale, cerca di presentarsi come contenitore e rappresentante. Tutti questi gruppi (quello delle donne, Oyili International,…) si materializzano e prendono corpo attraverso dei rituali quali l’offerta e il consumo collettivo di un pasto, delle tontine, la discussioni su iniziative a beneficio di terzi in difficoltà. Nel contesto greco di debolezza economica e crisi del welfare state, ‘fare comunità’ permette di produrre e distribuire risorse altrimenti inaccessibili individualmente sostenendo le persone mentre si fanno spazio nella società, rispondendo ai loro bisogni e a quelli dei familiari rimasti in Africa. I rituali rendono visibile il ‘fare comunità’ come legame-risorsa e la cornice in cui vengono messi in comune i capitali (materiali e simbolici) in un Paese dalla forte riduzione degli spazi d’azione dei migranti nella lunghissima fase (3-4 anni!) di richiesta d’asilo (obbligo di residenza in campi lontani dalle città, divieto di lavorare, clandestinità per chi non ottempera a queste condizioni). In tale contesto, gli ambiti relazionali istituiti e ripetuti dalle pratiche rituali predispongono un terreno propizio a transazioni (ricerca/offerta di lavoro, documenti, posti letto, servizi di mediazione) specifiche alla condizione di marginalità sociale dei più.

Tamara Mykhaylyak (my.tamara@hotmail.it) (Università di Napoli Federico II), Reagire alla guerra: il caso dei rifugiati ucraini in Campania

Il 24 febbraio del 2022 le truppe russe hanno invaso il territorio ucraino. La guerra ha provocato il più grande esodo di profughi in Europa dal secondo dopoguerra. L’Italia aveva accolto circa 160.000 profughi. In Campania sono arrivati circa 25.000 persone, molte di loro sono state accolte da parenti o da amici già presenti sul territorio napoletano prima dell’inizio della guerra, altre invece trovarono rifugio presso strutture religiose oppure furono accolte da famiglie italiane. Dopo le prime settimane caratterizzate da un forte stress emotivo, passate tra incredulità e smarrimento, per molti profughi ucraini arrivò il periodo di “vita sospesa”, durante questa fase, la speranza dell’imminente fine della guerra, con il conseguente ritorno in Ucraina, frenava il desiderio di “aggiustare” la vita quotidiana in Italia. In questo arco temporale i legami con i luoghi d’origine sono intensi: oltre a lunghe telefonate e videochiamate con le persone care, la maggior parte dei profughi monitorava costantemente i social media per essere aggiornati sulla situazione nel paese. Dalla fine del 2022 si può osservare però una lenta propensione verso l’appaesamento legato in parte al fatto che la guerra potrebbe durare ancora a lungo. Nonostante questa tendenza, i rifugiati ucraini continuano a mantenere un forte legame con il proprio paese anche attraverso la celebrazione di feste religiose e laiche che aiutano rafforzare le relazioni sociali e fronteggiare i momenti di nostalgia.

Aurora Massa (aurora.massa@unipv.it) (Università di Pavia), Le difficoltà del ritorno. Rituali e homemaking tra le donne migranti dall’Eritrea

Il contributo indaga il ruolo svolto dal mahber tra le donne di origine etiope forzosamente rimpatriate dall’Eritrea in seguito agli eventi bellici di inizio secolo. Per queste donne – costrette ad abbandonare la propria casa e ad affrontare un contesto di approdo ostile prive di aiuti materiali – il rimpatrio è emerso come un’esperienza complessa che, più che un homecoming, costituisce parte di un percorso di homemaking. Nel panorama cristiano-ortodosso locale, mahber indica un gruppo fisso di persone che si incontra una volta al mese per onorare una figura religiosa. Sebbene l’obiettivo di questi rituali sia devozionale, essi sono investiti di funzioni sociali che assumono connotazioni specifiche nei contesti migratori. Nel caso delle donne che hanno partecipato all’etnografia che ho svolto nella città etiope di Mekelle, il mahber risulta centrale nel processo di homemaking, connettendo passato, presente e futuro. Gli incontri mensili consentono alle partecipanti di ristabilire una continuità con il passato, di avere modi socialmente codificati per ricordarlo e trasmetterlo alle nuove generazioni e di edificare occasioni per elaborare collettivamente sofferenze altrimenti taciute. Svolgendosi nell’intimità domestica, il mahaber consente di tessere parentele fittizie al femminile per far fronte alle difficoltà quotidiane e all’isolamento e creare nuovi legami affettivi. Infine, offre una base sicura per fronteggiare i processi di esclusione subiti e progettare il futuro.

Marzia Mauriello (marziamauriello@gmail.com) (Università di Napoli L’Orientale), Cibi che tornano, cibi che contano: pratiche del fare casa tra ritualità alimentari, memoria e genere

A partire dall’incontro con alcuni contesti migranti presenti nella città di Napoli, il contributo intende esplorare i processi di continuità e cambiamento intrinseci alla migrazione analizzando nello specifico le “ritualità alimentari” per come queste vengono creativamente rielaborate, in relazione a determinate circostanze, e per i significati che esse assumono nei nuovi spazi, da intendersi nella loro natura fisica e relazionale, all’interno dei percorsi del fare casa. Partendo da una riflessione su come il cibo – inteso nel suo senso più ampio che include produzione, preparazione, distribuzione e consumo – sia segnato da ritualità specifiche, nella forma di pratiche e simboli, la presentazione si soffermerà sull’esperienza etnografica tra le comunità migranti di provenienza dall’Africa subsahariana presenti a Napoli, approfondendo saperi e pratiche alimentari messi in atto dalle donne. Tali pratiche guardano di fatto a un futuro polifonico e si fanno strumento di conoscenza, scambio e benessere per le comunità coinvolte.

Elena Zapponi (elenazap@yahoo.com) (Sapienza Università di Roma), Lontane dall’acqua. Immaginari del Malecón dell’Avana

Il contributo muove da un’etnografia sull’insularità svolta dialogando con interlocutrici cubane originarie dell’Avana residenti a Roma. Il rapporto all’acqua è indagato attraverso il ricordo e le emozioni, lontano dall’isola. Essa emerge come tratto dell’ecologia urbana e elemento che determina una geografia della relazione e dell’incontro: un paesaggio emotivo e simbolico particolarmente evidente nello spazio urbano denso di socialità e significati che è il Malecón, il lungomare dell’Avana. L’analisi si concentra sui sentimenti dell’acqua legati a questa ecologia, raccontati nella distanza, in un contesto quotidiano in cui si è straniere.  La frontiera con il mare allora suscita una nuova forma emotiva: quella della nostalgia legata a un’esperienza sensoriale dell’acqua che connota i modi cubani dell’abitare. Si rifletterà anche su altri immaginari, legati al Malecón e ai protocolli di rischio per gli uragani. La materia acqua è anche legata alla gestione sociale della paura, all’habitus di reazione incorporato dai cittadini fin dall’infanzia. Inoltre, gli usi dell’acqua sono indice di disuguaglianze tra residenti e turisti nell’economia della capitale, dove secondo diverse possibilità si ha accesso a distinti tipi di acqua, da quella potabile, a quella delle piscine, a quella di diverse coste marine. In questo senso, i saperi e l’esperienza dell’acqua sono un rilevatore di differenze sociali e di un diverso accesso a risorse economiche.

 
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