Panel 11

La vita segreta delle cose tra simbolismo e ritualità

Panel 11 / Quarto Convegno Nazionale SIAC “Il ritorno del sociale”, La Sapienza Università di Roma, 21-22-23 settembre 2023

Proponenti:  Ciriaca Coretti (Università della Basilicata), Ilaria Bracaglia (Università di Pisa)

Abstract

Gli oggetti che popolano il nostro ambiente di vita sono rivestiti di significati simbolici che li estrapolano dal loro contesto originario (Miller, 2014; Meloni, 2018), ponendoli al centro di relazioni dense e spesso ritualizzate, al punto che diviene possibile ridefinire una teoria del consumo contemporaneo oltrepassando la dicotomia tra valore d’uso e valore di scambio (Dei, 2014). L’attribuzione di significati simbolici sembra trasformare gli oggetti, da laici oggetti d’uso a cose sacre: inalienabili e dense (Kopytoff, 1986), presentate di casa in casa, di incontro in incontro, come ‘oggetti di affezione’, ‘reliquie personali’, ‘archivi di memoria culturale’ in cui “operano modelli culturali profondi che cercano di ‘addomesticare’ l’imperialismo delle merci” (Dei, 2014). Non più, o non solo, merci, ma universo di significati e relazioni sociali che si intrecciano alla vita quotidiana, come accade nel fumetto Anche le cose hanno bisogno, in cui sono le cose a raccontare la storia di vita e le emozioni della protagonista (Albertini, 2022). Oggetti capaci di viaggiare tra mondi (Ciabarri, 2018), di agire e di trasmettere storie, discorsi, memorie, come fossero “un concentrato del mondo” (Maffesoli, 1993). Se Marcel Mauss aveva intuito la forza pregnante contenuta nelle cose, proprio il concetto oceaniano di oggetti ambasciatori (Tjibaou in Aria, Paini, 2014) può esprimere la capacità degli oggetti di veicolare e tramandare anche narrazioni del conflitto, come “supporti resistenti di cui ci si impossessa quando i tempi sono difficili” (Miller, 2014).

Keywords: riti, simboli, cose, memoria, relazioni

Lingue accettate: Italiano / English / Français / Español / Português

 

Sessione I

Venerdì 22/9/23, ore 9.00-10.45, aula De Martino, Quarto piano

Ciriaca Coretti ciriaca.coretti@gmail.com (Università della Basilicata), Simbolismo e valori rituali. Il marchio da pane come espressione della cultura agropastorale lucana

Se è vero che l’artigianato più strettamente legato al mondo agropastorale appartiene al passato e non può essere richiamato in vita, è anche vero che la produzione di alcuni oggetti legati all’arte popolare e agropastorale e inseriti nel contesto sociale dell’epoca è giunta fino a noi, sebbene in una dimensione completamente diversa, perdendo in molti casi la sua originaria destinazione d’uso e assumendo nuovi significati simbolici legati ai nuovi contesti storico-culturali ed economici, in virtù di nuovi processi di produzione dell’autenticità, valorizzazione della memoria, richiamo alla tradizione, sentimento indotto di nostalgia. Uno degli oggetti connessi alla cultura agropastorale lucana del passato è il timbro o marchio da pane, fortemente connotativo dell’agro materano. La produzione di questo oggetto come anche il suo utilizzo mostra una forte identità culturale e simbolica legata al significato rituale della pratica della panificazione e del rapporto tra: “pasta cresciuta” e pronta per la cottura, oggetto incaricato ad inciderla e individuo che compie quest’azione. Il marchio da pane rappresentava l’ultimo atto del processo di panificazione e la sua funzione principale era quella di marchiare il pane con le iniziali del capo famiglia affinché non si confondesse con gli altri pani durante la cottura. Il suo valore simbolico era espresso nel definire la proprietà dell’alimento principale, spesso una delle uniche forme di sostentamento, al capofamiglia.

Qedresa Shaqiri (qendresa.shaqiri@univ-lyon2.fr) (Université de Lyon 2), La vita segreta delle pratiche culturali: come la biografia dà forma a nuove pratiche educative?

L’antropologia rivela i vari significati nascosti che possono celarsi dietro gli oggetti e le pratiche. Come gli oggetti, anche le pratiche contengono una dimensione implicita e invisibile, una vita segreta. In questo articolo cercherò di mostrare come le pratiche culturali non siano solo il prodotto di un contesto, di un gruppo e di contingenze storiche, ma anche della vita delle persone coinvolte. In questo modo, spiegherò come una pratica educativa innovativa, chiamata “educazione affettiva e relazionale”, messa in atto da un insegnante in una scuola primaria statale sperimentale a Firenze, la Scuola Città-Pestalozzi, rifletta la vita di questa insegnante. Il significato di questa pratica va oltre il contesto locale e fa parte della biografia di questa insegnante, nata negli Stati Uniti nel 1960 e trasferita in Toscana da bambina. La storia di vita rivela i modi in cui la memoria, i rituali familiari, le norme, i valori, le paure, le carenze e i desideri hanno avuto un ruolo nel plasmare le nuove pratiche educative che ha messo in atto. La sua storia di vita, le sue emozioni, le sue preoccupazioni e le sue aspirazioni mostrano come gli universi di significato siano intrecciati e cristallizzati nelle pratiche educative. Questo dà conto del modo in cui gli attori, con le loro esistenze – che contengono temporalità diverse e spazialità disparate – contribuiscono ad attribuire significati alle pratiche e a partecipare alla loro trasformazione. Inoltre, fornisce un esempio della pluralità di visioni del mondo che vengono promosse nel mondo contemporaneo, attraverso l’enfasi sulle singolarità.

Germana Chiusano (germanachiusano@gmail.com) (IED Torino), L’agire sociale degli oggetti nel mondo del Design

L’uomo è per eccellenza l’essere del desiderio e del bisogno. Ambisce costantemente a possedere e a circondarsi di oggetti, cose, prodotti: li progetta, produce, usa, rinnova, getta e ricompera. Gli oggetti sono connaturati alla dimensione umana, ci conviviamo fin dalla preistoria, il nostro è infatti un rapporto atavico, in bilico tra la dimensione materiale e immateriale, che oggi è profondamente mutato. All’interno del dibattito sugli studi della cultura materiale la cui base teorica è «una visone non materialista della materia» (Dei, Meloni) – poiché questa non è solo un dato oggettivo ma dipendente dalla cultura e dalla storia – l’antropologia riconosce il «ruolo sociale degli oggetti» (Douglas, Kopytoff, Campbell) concepiti non solo come meri strumenti/prodotti dell’attività umana, ma dotati di «un’autonoma personalità» (Volontè, 2009) che muove e influenza le dinamiche sociali. Gli oggetti finiscono così per assumere una grande responsabilità, quella di rappresentarci. A partire da una posizione che guarda al mondo del Design questo contributo propone di indagare la relazione uomo-oggetto sulla base delle riflessioni condotte dall’antropologo Miller per arrivare ad incrociare lo sguardo che alcuni esponenti di spicco del mondo del Design hanno attribuito agli oggetti. Dalla poetica concettuale di Branzi all’eccentrico intimismo di Medini si cercherà di esaminare quale attribuzione di senso e capacità di narrazione il Design conferisce al “mondo delle cose”.

 

Sessione II

Venerdì 22/9/23, ore 11.45-13.00, aula De Martino, Quarto piano

Claudia Antonangeli (claudia.antonangeli@hotmail.it) (Università Ca’ Foscari Venezia), «Chuta que é macumba!». Oggetti rituali nell’Umbanda afrobrasiliana

L’intuizione secondo cui anche le “cose” sarebbero dotate di una loro “vita” sociale risale alla fine degli anni Ottanta (Appadurai 1986) e resta tuttavia un punto di partenza fondamentale nel guidare l’analisi dei numerosi fili narrativi che si dipanano a partire da un oggetto. Gli oggetti, infatti, possono dirci molto sull’universo sociale in cui sono “nati”, sulle relazioni che intessono con persone e luoghi, e suoi ruoli che ricoprono, in contesti ordinari e straordinari. L’articolo vuole dunque raccogliere l’invito di Kopytoff (1986) a fare una «biografia culturale delle cose», relativamente al contesto rituale dell’umbanda afrobrasiliana. In questo culto sincretico, gli oggetti cerimoniali fungono da mediatori tra terreno e ultraterreno rendendo possibile il passaggio degli spiriti da un piano di trascendenza ad uno di immanenza. In particolare, si analizzerà il ruolo delle guias, collane che testimoniano la relazione tra un medium e le entità spirituali a cui è affiliato, per poi passare alle offerte/feticci che popolano i più svariati angoli del Brasile, ed infine ai tamburi sacri (atabaques). A partire da queste tre classi di oggetti incontrati sul campo, si cercherà di analizzare il ruolo centrale della materialità nel culto dell’umbanda e di ascoltare le storie plurali e polisemiche, sacre e profane, collettive e singolari che i suoi oggetti raccontano.

Ilaria Bracaglia (ilariabracagliapignataro@gmail.com) (Ricercatrice indipendente), “Te le regalo, sono ancora piene di CS”. Scambiare maglie per raccontare il G8 2001

20 luglio 2020 piazza Alimonda (ritoponimizzata Carlo Giuliani, ragazzo) un uomo mi regala le tre magliette che indossò il 20 luglio 2001. Ci siamo incontrati spesso i 20 luglio, ma solo accostati (Leiris, 1934). Nel 2020 ci ritroviamo il 19 al csoa Pinelli (Genova Molassana). Entro con Giuliano Giuliani, papà di Carlo Giuliani e autore di un’imponente controinchiesta sull’uccisione del figlio. L’uomo, che non mi dirà il suo nome, saluta Giuliani che mi presenta come ricercatrice sul G8 2001; mi racconta attraverso le sue cicatrici quel 20 luglio (Taussig, 1982; Le Breton, 1995). Mi indica tutto come se avvenisse proprio lì: “Lo vedi?”, singhiozza e dice che da allora non riesce a non pensarci: “Ce l’ho sempre davanti agli occhi”. Ci abbracciamo “Scusa se ti ho fatto perdere tempo, non sono matto ma mi sento impazzire” “Grazie per avermi raccontato, è stato un grande regalo” “Domani ti porto un altro regalo in piazza, ci sei?”. Mi porterà tre buste con le tre maglie che si è cambiato il pomeriggio del 20 luglio 2001, mi avvisa di stare attenta quando le apro perché sono ancora intrise di gas CS. Mi sento indegna di quel dono, dico che partirò per Roma e non potrò restituirgliele se cambiasse idea, non ci siamo scambiati contatti (Jaggar, 1989; Behar, 1996; Piasere, 2002): “Vai e fai quello che devi fare”. Le magliette ambasciatrici (Aria Paini, 2015) sono ancora nelle buste chiuse, la storia è uscita e il dono è in circolazione (Puget, 1989; Certeau, 2005; Beneduce, 2007).

Bruno Iannaccone (bruno.iannaccone@phd-drest.eu) (Università di Modena e Reggio Emilia – Link Campus University Roma), Dalla scelta alla possibilità. Ripensare la progettualità sulle sale multi-religiose partendo dagli oggetti

Le sfide poste da una società sempre più differenziata religiosamente incontrano i limiti spaziali, economici, architettonici delle nostre città.Una modalità di organizzazione degli spazi vantaggiosa che sembra incontrare un favore crescente da parte di istituzioni pubbliche e private in ambito locale, sono gli spazi multi-religiosi(SMR). Con questo crescente favore da parte degli enti e di molte comunità religiose sorgono gli SMR. Sono molti i casi di spazi multi-religiosi declinati in diversi progetti di quartieri, complessi, edifici e sale. Per quanto riguarda il modello di sala, sono realizzati quasi esclusivamente top-down e nella maggior parte dei casi restano sotto-utilizzate o utilizzate per scopi altri. L’insuccesso di molte di queste tipologie di spazio multi-religioso è dovuto, sicuramente alla loro natura “istituzionale” anziché “popolare”, ma anche e soprattutto per la connotazione neutrale/bianca/silenziosa che ne viene data.In questo contributo, prendendo come rifermento la svolta materiale nello studio delle religioni e lo stato dell’arte sullo studio degli SMR, si vuole mostrare come la progettazione di sale MR debba necessariamente portare una maggiore attenzione a un’analisi della materialità e degli oggetti che compongono o possono comporre questa tipologia di SMR, e alla possibilità o meno che questi possano essere condivisi,per puntare ad una maggiore riuscita e quindi fruizione di tali progetti, oppure all’affermazione di una impossibilità ontologica.

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