25 Gennaio 2021

In ricordo di Cecilia Mangini

Il 21 gennaio 2021 all’età di 93 anni, è scomparsa la regista Cecilia Mangini. Un ricordo di Francesco Faeta.

Qualche giorno fa è venuta a mancare Cecilia Mangini, una di noi, così mi è sempre sembrata ogni volta che la incontravo.

Una di noi, non soltanto per il diuturno rapporto che lei ha avuto con le scienze sociali, la demologia, l’antropologia, la sociologia, per la sua interlocuzione con Ernesto de Martino e con uno scrittore tra i più vicini alla sensibilità antropologica, quale Pier Paolo Pasolini, per le sue amicizie vecchie e nuove con quanti sono nel nostro dominio disciplinare o a lui assai prossimi, per la sua frequentazione dei nostri spazi, le aule dove si tengono le lezioni di antropologia, l’Istituto Superiore Regionale Etnografico di Nuoro, l’Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia, il Museo delle Civiltà, a Roma, dove ha allestito l’ultima sua mostra di grande rilievo.

Una di noi soprattutto per la scoperta corda antropologica che attraversava il suo pensiero e il suo stesso modo di vivere (il terreno, la costanza dell’osservazione, l’ordinamento dei materiali, gli appunti e le scritture provvisorie, il montaggio del testo, la restituzione). Per l’interesse che ha continuato a coltivare, sino alla fine, per le vicende degli uomini e delle loro forme di organizzazione sociale e culturale. Un interesse, per altro, che ha alimentato costantemente la sua lucida ironia, la sua serena (pur se severa) valutazione del mondo, la sua straordinaria volontà di vivere, la sua incondizionata mobilità, materiale (disponibile, sino all’ultimo, a incontrare chiunque la interessasse, ovunque fosse) e intellettuale.

Vi sarà modo di riflettere meglio sulla sua produzione audiovisiva, divisa tra cinematografia e fotografia, ma pervasa da una riconoscibile cifra stilistica e da una stessa tensione linguistica. Alcuni dei suoi film, tra cui quello sul pianto funebre assai noto tra noi (Stendalì), hanno offerto, con la loro marcata presa di distanza dalla cifra neorealista e con il loro avvicinarsi a una forma di espressionismo realistico, indicazioni di grande interesse nell’ottica di una matura etnografia visiva, in ciò accostandosi, per qualche verso, alle istanze espresse da un altro grande nostro compagno di strada, Luigi Di Gianni. Indicazioni, devo dire, abbastanza disattese da un’ulteriore cinematografia e videografia etnografiche, ben poco attente ai codici stilistici e linguistici, assai concentrate sulla piana descrizione evenemenziale della realtà da illustrare.

Qui, in questa brevissima nota che ha solo l’ambizione di essere un tempestivo omaggio che la comunità degli antropologi che si riconosce nella nostra associazione, vuole porgere, mi preme soltanto ricordare una cosa, lucidamente colta, quale testuale ricordo autobiografico, da Paolo Mereghetti nel suo recentissimo articolo apparso sul “Corriere della sera”(23 gennaio 2021): “sono stata per tutta la vita una documentarista. Anche quando ho fatto la fotografa, sono andata in cerca di qualcosa di molto più profondo della verità, di assolutamente nascosto che solo le immagini possono rivelare”. Ecco, credo sia questo l’insegnamento più prezioso che dobbiamo a Mangini, quello di avere compreso come il faticoso, complesso, contraddittorio processo di costruzione delle immagini, in una logica che intende restare indicale per rispondere alla profonda aderenza alla realtà che il nostro campo intellettuale postula, significa andare oltre ciò che appare, ciò che elementarmente si vede, alla ricerca di quella forma interpretativa, a volte anch’essa opaca, ma spesso rivelativa, costituita dall’immagine. 

Roma, 24 gennaio 2021                                                 Francesco Faeta

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