7 Marzo 2021

In memoria di Alberto M. Sobrero

Un ricordo di Alberto M. Sobrero (1949-2021) dei suoi allievi Lorenzo D’Orsi e Federico Scarpelli, seguito da una selezione bibliografica.

Il 18 febbraio, all’improvviso, è scomparso all’età di settantuno anni Alberto Sobrero (1949-2021). Ci sentivamo spesso nell’ultimo periodo per parlare di antropologia e di altro. Ogni volta ci ripromettevamo di vederci a pranzo, non appena l’andamento della pandemia ce l’avesse permesso. Non ce n’è stato il tempo. Il carattere improvviso della sua morte si riflette ancora nel suo studio dove, tra pile disordinate di libri, i disegni dell’amato nipotino, un’immagine di Pasolini, le fotografie del suo campo a Capo Verde, una vecchia tessera del PCI e la targhetta della sua stanza alla Sapienza di Roma, restano aperti i volumi su cui stava lavorando per finire il suo libro su Michel De Certeau. Segni di un percorso intellettuale complesso, vario ed estremamente personale.

Alberto Sobrero si laurea a Roma con Tullio Tentori nel 1973, con una tesi sulla deruralizzazione dei piccoli centri dell’Umbria. Poco tempo dopo entra a far parte del gruppo di giovani collaboratori che in quel periodo ruotano attorno alla figura di Alberto Cirese. A caratterizzare questa prima fase dei suoi studi, tra gli anni Settanta e Ottanta, sono l’interesse per la storia culturale del mondo contadino (1974, 1975), la relazionalità tra cultura subalterna e egemonica in chiave gramsciana (1977, 1978, 1980), la figura di Michail Bachtin (1983a, 1984) e un originale filone di ricerca incentrato sulla letteratura popolare e muricciolaia (1979, 1983b, 1983c, 1987a, 1987b). Oltre all’attività universitaria, Sobrero in quegli anni scrive sulle pagine de “L’Unità”, di “Rinascita” e di “Critica Marxista”, collaborando con il Circolo Gianni Bosio e ricoprendo anche l’incarico di segretario di una sezione del PCI, in una fase di vicinanza tra l’attività politica e quella intellettuale che viene meno progressivamente nel corso degli anni Ottanta.

Quel decennio vede Sobrero coinvolto sia nel mondo della cooperazione internazionale, attraverso la partecipazione a diversi progetti di sviluppo del Ministero degli Esteri e della FAO nell’Africa occidentale (Senegal, Niger, Capo Verde), sia nelle attività di ricerca di istituti extra-accademici quali l’ISPES – oggi EURISPES – di cui è anche direttore di ricerca. Ma, soprattutto, è in questo periodo che possiamo datare l’inizio della sua etnografia tra le isole di Capo Verde.

L’occasione di questo lavoro, che tra il 1985 e il 1986 lo vede soggiornare in loco per circa un anno, è appunto un progetto della FAO, volto a promuovere presso i contadini di Capo Verde una maggiore propensione all’innovazione tecnica ed economica. Ma questa chiave non è soddisfacente per rendere il senso della sua ricerca. Ne troverà una migliore nel confronto fra la propria esperienza etnografica e la produzione degli intellettuali e degli scrittori di Capo Verde. Dopo una lunga gestazione, Hora de Bai, pubblicato nel 1996, saprà offrire un’immagine sfaccettata e profonda di un contesto sospeso fra tre continenti – l’Africa, l’Europa e l’America del Sud – e dominato dal tema del viaggio, un mondo in larga parte ancora contadino ma caratterizzato da una ricca letteratura. Sobrero tornerà a Capo Verde solo nel nuovo secolo, seguendo le ricerche di allievi come Martina Giuffré, ma il rapporto con quelle isole non si interromperà mai, attraverso la vicinanza alla comunità capoverdiana di Roma, ad amici come Maria de Lourdes Jesus e Marzio Marzot e ad associazioni come Tabanka, con la quale in tempi recenti promuoverà l’istituzione di una borsa di studio intitolata a Willy Monteiro Duarte, brutalmente assassinato a Colleferro nel 2020.

Oltre che per la pubblicazione di Hora de Bai, gli anni Novanta sono un periodo cruciale nel percorso di Sobrero anche per altre ragioni. Innanzitutto, prende forma il suo contributo all’antropologia urbana o, come talvolta si diceva ancora in quel periodo, all’antropologia delle società complesse. Di quest’ambito di ricerca, in quel momento poco praticato e ancora non del tutto legittimato all’interno della nostra tradizione di studi, Sobrero diventa in Italia una delle voci principali. Il suo Antropologia della città (1992) è il primo manuale italiano di antropologia urbana e un riferimento importante per diverse generazioni di studenti. La peculiarità del suo approccio consiste nel non cercare di dimostrare che la città moderna possa essere un oggetto di studio come un altro per l’antropologia, come se il loro incontro a lungo fragile o mancato fosse semplicemente questione di dimenticanza. Al contrario, lo sforzo da parte sua consiste nel ragionare sulle difficoltà e i paradossi di questo incontro, intendendolo come un’occasione per ridefinire e ripensare entrambi (2011). In quest’ottica va intesa anche la curatela del volume Culture della complessità (2001), dove, insieme a studiosi più giovani, Sobrero riflette su nozioni come quelle di globalizzazione, postmodernità, postcoloniale, sugli orizzonti appena accennati del virtuale, e sullo stesso “ritorno a casa” dell’antropologia. In questo quadro si inserisce anche l’interesse per il tema delle migrazioni, al centro di un volume, Persone dall’Africa (1998), curato insieme a Pietro Clemente.

Il sodalizio con Clemente, esponente della prima generazione “cagliaritana” degli allievi di Cirese che negli anni Novanta insegna a sua volta alla Sapienza, è particolarmente importante in questa fase. I due collaborano nella didattica, anche mescolando ambiti di ricerca solitamente tenuti separati, come nel caso del corso congiunto su contadini capoverdiani e mezzadri toscani, ricordato in questi giorni di lutto dallo stesso Clemente. Più in generale si trovano a riflettere, insieme ad altri colleghi, sul rinnovamento metodologico ed epistemologico della disciplina, legato in parte alla ricezione in Italia delle correnti interpretative e postmoderne e in parte allo sforzo di superare alcune barriere disciplinari.

Sul volgere del secolo, questi interessi si traducono in una nuova fase della produzione saggistica di Sobrero, centrata su temi epistemologici e teorici. Si tratta innanzitutto del volume L’antropologia dopo l’antropologia (1999), costruito sul dialogo serrato con alcuni filoni chiave del pensiero novecentesco, quelli riconducibili a Ludwig Wittgenstein, a Gregory Bateson e all’ermeneutica di Hans-Georg Gadamer e Paul Ricoeur. Lo sforzo è quello di mettere a fuoco “ciò che è vivo e ciò che è morto” nella tradizione della disciplina, allontanandosi dalle sue basi a volte troppo ingenuamente positivistiche, per ricostruirne di più solide in un dialogo intellettuale allargato ad altri saperi. In questa linea si muove anche, dieci anni dopo, Il cristallo e la fiamma (2009), dove il filo rosso del narrare porta Sobrero a confrontarsi con forme esemplari del romanzo moderno e casi anomali della scrittura antropologica, ma anche a riprendere il filo di un confronto costruttivo con le scienze dure. In particolare, il volume sottolinea l’interesse di alcuni filoni recenti della psicologia cognitiva, delle neuroscienze e dell’evoluzionismo caratterizzati da una postura riconoscibilmente anti-riduzionista.

Qui emerge con particolare chiarezza un tratto importante della personalità di studioso di Alberto Sobrero: una costante propensione a lavorare sul confine della disciplina, sia per quanto riguarda gli oggetti della ricerca, sia per quanto riguarda il modo di concepirla e portarla avanti. Potremmo forse dire che nel momento in cui un metodo o un ambito di indagine si consolida o si “normalizza”, la questione diventa per lui meno interessante, perdendo quel carattere di sfida definitoria che più di tutto lo appassiona. In questo senso, il suo modo di contribuire a un’impresa conoscitiva che tende sempre a pensare al plurale consiste, più che nello stare nei dibattiti, nell’aprirli. L’antropologia non è mai da lui considerata uno specialismo autonomo, ma un tassello in un campo intellettuale più ampio, accanto alla filosofia, alla storia, alla letteratura e all’impegno politico. Questo modo di fare, che corrisponde poi anche a un modo di essere, nato quando il marxismo costituiva ancora una prospettiva analitica e un orizzonte di senso più ampio, Sobrero lo porta con sé anche all’interno della svolta riflessiva, rendendolo una cifra stilistica costante. Ciò corrisponde anche a un senso molto alto del ruolo dell’intellettuale, che da parte sua riesce comunque a incarnare con ironia e con un certo grado di modestia.

Oltre all’impegno scientifico, Sobrero ha ricoperto numerose cariche istituzionali presso la Sapienza, benché questo tipo di impegno per lui non fosse probabilmente del tutto congeniale. Nel corso degli anni è stato Presidente di Area didattica, Direttore di Dipartimento, Presidente di Corso di laurea, e infine, per un breve periodo, anche membro del Consiglio di amministrazione dell’Ateneo. Tra il 2004 e il 2012, ha coordinato poi, assieme a Sonnia Romero Gorski, l’accordo bilaterale di collaborazione interuniversitaria tra la Sapienza e l’Universidad de la República di Montevideo che ha permesso soggiorni didattici e ha posto le basi per lo sviluppo di comuni campi di confronto scientifico e di ricerca etnografica tra Italia e Uruguay.

Negli ultimi anni, più che agli ampi quadri teorici del periodo precedente, si è dedicato ad approfondire l’opera di autori in qualche misura anomali e di confine: dall’etnologo e surrealista Michel Leiris (2012a, 2012b), attraverso la cui figura ragiona sul rapporto tra etnografia e autobiografia al Karl Polanyi non antropologico de La grande trasformazione – che risuona con gli scenari foschi della crisi economica della fine degli anni Duemila (2012c) -, da Pier Paolo Pasolini, cui dedica alcuni corsi e il volume Ho eretto questa statua per ridere (2015), a Michel De Certeau, sul quale fa in tempo a pubblicare due raffinati saggi nel 2018 e 2019, ma non a concludere il volume che li avrebbe racchiusi.

Infine, non si può non menzionare l’importanza da lui data alla didattica svolta alla Sapienza e per un breve periodo a L’Orientale di Napoli, a cui si è sempre legata una grande capacità di appassionare e affascinare i suoi studenti. Sobrero aveva infatti un’abilità di racconto e di evocare mondi che stimolava in ciascuno un’immaginazione calata nel proprio percorso personale. Non a caso, lo ricordano in questi giorni anche tante persone che lo hanno incontrato solo nel breve spazio di un corso e che spesso nella vita hanno finito per fare altro, anziché rimanere nell’ambito dell’antropologia, ma per i quali l’incontro con “il professor Sobrero” ha costituito un momento importante della propria formazione. Come chi frequentava il suo studio sa bene, Alberto Sobrero non era il professore più adatto a cui rivolgersi per risolvere una noia burocratica. Era anche difficile che fornisse indicazioni particolarmente precise. Se mai suggestioni, indizi, idee ancora da sviluppare. Probabilmente, il suo vero intento non era neanche quello di offrire soluzioni ma piuttosto di far sorgere nuove domande. Fra le cose che ha trasmesso a molti di noi c’è proprio l’importanza di tornare a interrogarci su quello che una volta o l’altra potremmo convincerci di aver già capito.

 

Bibliografia di Alberto Sobrero (una selezione)

Clemente, P., Sobrero, A. (a cura di), 1998, Persone dall’Africa, CISU, Roma.

Sobrero, A., 1974, Proprietà pubblica e proprietà privata in alcune comunità rurali dell’Umbria (sec. XV-­‐XVII), “Rivista di Sociologia”, 28/1974.

Sobrero, A., 1975, Privilegi degli originari e condizione subalterna dei forestieri in alcune comunità rurali dell’Italia centrale, “Sociologia”, 1/1975.

Sobrero, A., 1977, Culture subalterne e nuova cultura in Labriola e Gramsci, in “Politica e storia in Gramsci I”, Ed. Riuniti, Roma.

Sobrero, A., 1978, Analisi di alcune categorie di lettura della religione popolare, in AA.VV. “Questione meridionale, religione e classi subalterne”, Guida, Napoli.

Sobrero, A., 1979, Problemi di ricostruzione della mentalità subalterna: letteratura e circolazione culturale alla fine dell’Ottocento, “Problemi del Socialismo”, n.16/1979.

Sobrero, A., 1980, Gerarchia delle cose e gerarchia delle idee, “Problemi”, n. 57/1980.

Sobrero, A., 1983a, Michail Bachtin, dall’analisi del testo ad un’antropologia filosofica generale, “Metamorfosi”, n.7/1983.

Sobrero, A., 1983b, Gli almanacchi: un territorio poco studiato della letteratura popolare, “Uomo e cultura”, dic. 1983.

Sobrero, A., 1983c, Lunari popolari italiani nel Settecento, “Berichte: Arbeitshefte zum romanischen Volksbuch”, n. 6/1983

Sobrero, A., 1984, La conoscibilità della festa, in AA.VV. “Dire e fare carnevale”, Ed. del Grifo.

Sobrero, A., 1987, La cronaca nera nella letteratura popolare italiana, “Volksbuch, Romanisches Volksbuch Band”, 7/1987.

Sobrero, A., 1986, Crudeli e compassionevoli casi. La cronaca nera nella letteratura popolare a stampa, “La ricerca folklorica”, n. 15/1987.

Sobrero, A., 1992, Antropologia della città, Nuova Italia Scientifica (poi Carocci), Roma.

Sobrero, A., 1996, Hora de Bai. Antropologia e letteratura delle isole del Capo Verde, Roma, Argo.

Sobrero, A., 1999, L’Antropologia dopo l’antropologia, Meltemi, Roma.

Sobrero, A. (a cura di), 2001, Culture della complessità, CISU, Roma.

Sobrero, A., 2009, Il cristallo e la fiamma. Antropologia tra scienza e letteratura, Roma, Carocci.

Sobrero, A., 2011, I’ll teach you differences, in Scarpelli F. (a cura di), “Voci della città”, Roma, Carocci.

Sobrero, A., 2012a, Contar historias es cosa seria: el Afrique fantôme de Michel Leiris, “Anuario de Antropología social y cultural en Uruguay”, vol.10/2012.

Sobrero, A., 2012b, Raconter est une chose sérieuse: L’Afrique fantôme de Michel Leiris, “Recherches et Travaux”, vol. 82/2012.

Sobrero, A., 2012c, Né questo, né quello. Polanyi riletto, “L’Uomo, Società Tradizione Sviluppo” nn. 1-2/2012.

Sobrero, A., 2015, Ho eretto questa statua per ridere. Pasolini e l’antropologia, Roma, CISU.

Sobrero, A., 2018, La macchina antropologica. Michel de Certeau: l’invenzione del quotidiano (prima parte), “Lares”, 2/2018.

Sobrero, A., 2019, La macchina antropologica. Michel de Certeau: l’invenzione del quotidiano (seconda parte), “Lares”, 1/2019.

 

Foto di Cristian Trappolini (2011)

 

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