Don’t Despair, Resist! A distanza di cinquant’anni, il sistema sesso/genere di Gayle Rubin contro le nuove forme di essenzialismo
Panel 06 / Quinto Convegno Nazionale SIAC “SPERARE / DISPERARE / DESIDERARE”
Matera, 25-27 settembre 2025
Proponenti: Michela Fusaschi (Università Roma Tre / EHESS), Gianfranco Rebucini (EHESS / CNRS)
Abstract
“There are only two genders, male and female!”. A poche settimane dal suo insediamento, l’amministrazione Trump, sulla base di una concezione della differenza sessuale strettamente binaria e immutabile, ha imposto la rimozione dai siti web federali e anche in alcune pubblicazioni scientifiche una lunga lista di parole ritenute troppo “politicamente corrette” fra cui gender, LGBTQ+, transgender ecc. Così la Corte Suprema inglese ha stabilito che è legalmente donna e può definirsi tale solo chi è nata biologicamente donna, discriminando di fatto altre identità di genere, fra cui quella di trans. Non bisogna disperare ma posizionarsi, resistere e agire a partire da ciò che l’antropologia di genere e femminista dimostra da più di mezzo secolo. Considerando che proprio i desideri, le speranze e la disperazione connotato la condizione di individui e gruppi sociali nelle molteplici declinazioni culturali il panel vuole ripartire dall’attualità del paradigma sex/gender system, termine neutro, introdotto cinquant’anni fa in antropologia da Gayle Rubin per studiare le dinamiche di potere e comprendere le cause della gerarchizzazione fra uomini, donne, le/gli altr*. Una categoria analitica per capire le cause delle oppressioni di genere che vanno al di là del solo patriarcato per approfondire le altre forme di oppressione. Confrontandosi con la teoria psicoanalitica di Freud e Lacan, il marxismo di Marx e Engels e lo strutturalismo di Lévi-Strauss, in particolare riguardo alle strutture elementari della parentela e al tabù dell’incesto, Rubin sosteneva che, per superare l’opposizione dicotomica e essenzialista delle nozioni di sesso e genere, era necessario ripensarle come parti di un processo psico-socio-economico capace di trasformare il dato biologico e anatomico in dati significativi, culturali e asimmetrici, ovvero i generi. Il panel prende le mosse da questo paradigma non-essenzialista per interrogarne la potenza euristica e politica quale contributo dell’antropologia femminista e queer rispetto alle prospettive riduttive riconducibili al soggetto “donna” o al patriarcato, per pensare le forme di resistenza e di cambiamento in ambito accademico e non alla rinnovata offensiva reazionaria.
Keywords: generi, oppressioni, sessualità, queer, femminismi
Lingue accettate: Italiano / English / Français
Sessione I
Venerdì 26/9/25, ore 9.00-10.45, aula A114, primo piano
Michela Fusaschi (michela.fusaschi@uniroma3.it) (Università Roma Tre / Laboratoire d’antropologia Politique (LAP), EHESS/CNRS), Sfidare le parole passe-partout del discorso femminista sulle “pratiche tradizionali dannose”. Un’analisi antropologica critica delle dislocazioni
In questo intervento, l’attenzione è rivolta all’esame di termini generici come “pratiche tradizionali dannose”, “pratiche culturali dannose”, “pratiche tradizionali” o “pratiche culturali violente nei confronti delle donne in famiglia” nel discorso storico internazionale e al loro confronto con le categorie antropologiche. L’obiettivo è capire come alcune categorie specifiche dell’antropologia culturale, come quelle di tradizione, cultura e sistema sesso/genere, siano usate per costruire un glossario imperfetto. Questo è importante sia per evidenziare le differenze storiche tra i movimenti femministi del Nord e del Sud a partire dagli anni ’70, in cui si colloca la svolta di Gayle Rubin, sia per capire il ruolo dell’antropologia nella transizione dall’antropologia delle donne all’antropologia femminista, che si concentra specificamente sulle relazioni di potere. Esplorando questo glossario imperfetto si mette in evidenza il suo impatto sull’etnografia ma anche rispetto ad altri attori (ONG, movimenti ecc.) il che, a sua volta, complica la collaborazione con i responsabili politici che possono manipolarlo per i propri scopi, ostacolando il dialogo transculturale e fra i femminismi.
Gianfranco Rebucini (gianfranco.rebucini@ehess.fr) (Laboratoire d’anthropologie politique, CNRS/EHESS), L’omosessualità come elemento centrale nella sovversione del binarismo di genere in G. Rubin
Nel 1975 Gayle Rubin pubblicò il suo The Traffic in Women: Notes on the “Political Economy” of Sex, che segnò il passaggio dall’antropologia delle donne all’antropologia femminista e, successivamente, a quella di genere e queer. Oltre alla rimessa in discussione del patriarcato come strumento analitico per capire l’oppressione di genere, il concetto sex/gender system da lei introdotto si avvale di un’analisi critica e di una rivalutazione del ruolo della sessualità come elemento costitutivo nello sviluppo delle identità di genere maschile e femminile, nonché nel trattamento sociale di tali sessualità, in particolare dell’omosessualità. Quindi accanto ai tabù dell’incesto e dello scambio delle donne, Rubin introduce il “tabù dell’omosessualità” come costante generativa nella costruzione del binarismo di genere. La sessualità e il suo trattamento sociale dovevano diventare ambiti da studiare espressamente, come l’autrice sottolineerà in seguito nel testo fondatore degli studi queer, Thinking Sex (1993). Questo contributo esplora questa prospettiva non essenzialista di Rubin per interrogare la potenzialità politica sovversiva della sessualità e particolarmente dell’omosessualità per comprendere e lottare accanto alle minoranze sessuali e di genere contro le forme di binarismo fascistizzante di oggi.
Serge Tcherkezoff (tcherkez@ehess.fr) (CREDO, AMU, CNRS/EHESS), Gender Minorities and Unequal Freedoms in Polynesia: the hardship of transitioning for Assigned Female At Birth
In the field of resistance (oh so necessary and justified) to the dictates of Donald Trump and his ilk, who proclaim that ‘there are only two genders, male and female’, it is important to give a voice to societies that live outside this binary limit, de facto in their social organisation and sometimes even through a legal affirmation of a plurality of genders beyond the number two. This is the case in several societies in the area known as ‘Polynesia’: we will refer to the eastern part (Tahiti, in the Community of French Polynesia) and the western part (the independent state of Samoa). Since the 2010s, the Samoan government has officially affirmed that there are ‘four genders’: ‘men, women, faafafine [literally: “like women”] and faatama [literally: “like boys”]. Tahitian society recognises a similar quartet de facto, if not de jure. However, what might appear to be shared and equal freedom, between those assigned male at birth (AMAB) and those assigned female at birth (AFBA), to claim a ‘transition’, must be tempered. In reality, there is a chasm of additional difficulties that opens up beneath the feet of those declared female at birth (AFAB). These difficulties are established and perpetuated by male discourse in society, and ‘male domination’ reappears even in this space, which one might have thought would escape it because it seemed to lie beyond the binary gender opposition.
Michela Balocchi (michela.balocchi@gmail.com) (Centro di Ricerca PoliTeSse, e intersexioni), Intersex: un concetto potenzialmente rivoluzionario come quello di genere
Il concetto di genere entra nel discorso scientifico negli anni ‘70 e uno dei primi contributi teorici è quello di Rubin che usa l’espressione sex-gender system per indicare l’insieme di processi con cui ogni società organizza la divisione dei ruoli sulla base del sesso biologico. Oggi il concetto di intersex potrebbe avere un’altrettanta portata rivoluzionaria, se non fosse ancora così poco conosciuto e molto oscurato. Sappiamo che genere, ruoli ed espressioni di genere variano nel tempo e nello spazio, gli orientamenti sessuali sono molteplici, l’identità di genere può non corrispondere al sesso anagrafico e le caratteristiche di sesso sono interpretate attraverso strumenti socio-culturali del sistema sesso/genere in cui siamo inserite. E non solo: anche a livello biologico, le caratteristiche di sesso degli animali umani – e non – sono molto più complesse del semplice binarismo di sesso insegnato. Dagli anni ‘90 è nato un movimento internazionale per i diritti umani intersex che chiede di interrompere gli interventi chirurgici precoci su corpi sani ma atipici, non dettati da motivi di necessità e urgenza ma da esigenze di ‘normalizzazione’ di genere. Oltre a questa forma di resistenza delle persone intersex che rivendicano autodeterminazione e integrità corporea, va sottolineata la portata ancora più ampia che una riflessione sulle variazioni nelle caratteristiche di sesso potrebbe avere nel decostruire e superare le gerarchie di sesso/genere dominanti nelle nostre società.
Sessione II
Venerdì 26/9/25, ore 11.15-13.00, aula A114, primo piano
Laura Guidi (laura.tokyo@gmail.com) (Ricercatrice indipendente), Etnografia femminista e queer di un caso di studio su una donna trans proveniente dal Medio Oriente
Gli studi queer nell’antropologia di genere e femminista si sono opposti al concetto di “normalità”, al binarismo di genere e alla normatività dell’eterosessualità. Questi approcci evidenziano categorizzazioni alternative e descrivono modi di esistere nel mondo oltre il dualismo di genere. Nella mia ricerca ho adottato una prospettiva queer, unitamente alla pratica femminista del posizionamento, conducendo un’etnografia su una donna trans rifugiata politica in Italia per motivi legati all’identità di genere e all’orientamento sessuale (Guidi 2022). Sia nella società mediorientale sia in quella italiana operano — con differenti gradi di oppressione — sistemi di sesso/genere (Rubin 1975) dai quali derivano differenziazioni di ruoli e disparità strutturali. Per questo panel faccio riferimento alle interviste e, descrivo le questioni legate alle dinamiche di potere, esclusione/inclusione e discriminazione. La resistenza alle ondate essenzialiste delle recenti politiche amministrative trova un contraltare negli studi di genere femministi, queer e nelle istanze dei movimenti transfemministi, che rifiutano categorizzazioni rigide, solidarizzano con le molteplici identità e restituiscono complessità attraverso dati qualitativi e quantitativi. Con questo contributo vorrei inserirmi nel prosieguo della produzione di ricerche di genere e femministe, con l’obiettivo di decostruire norme e ampliare gli orizzonti epistemologici
Ludovica Micalizzi (ludovica.micalizzi@studio.unibo.it) (Ricercatrice indipendente), Federica Stagni (federica.stagni@sns.it) (Scuola Normale Superiore di Pisa), Cosmo Melania Esposito (cosmo.m.esposito@gmail.com) (Ricercatrice indipendente), How Academy Kills: the necropolitics of knowledge and the inquiries from the Undercommons
The university, far from being a neutral space for the free production of knowledge, operates as a necropolitical apparatus that selects, marginalizes, and neutralizes subversive forms of knowledge. In this reactionary climate, the cancellation of terms and concepts linked to gender studies is part of a broader propaganda strategy aimed at normalizing and domesticating academic discourse. Faced with the fear that non-conforming subjectivities and critical knowledges might destabilize the existing order, the university becomes a key site for implementing ideological containment. Building on Gayle Rubin’s sex/gender system and Silvia Federici’s analysis of the connections between capitalism, the control of bodies, and colonial appropriation, this intervention explores how academia contributes to the theoretical and methodological elimination and killing of monstrous subjectivities and knowledges – as reclaimed by Susan Stryker – including trans, queer, decolonial, and Indigenous bodies that fundamentally challenge the patriarchal, colonial, and neoliberal order. Building on the work of Stefano Harney and Fred Moten, we will be delving in the alternative practices and critical analyses that these ungovernable communities – the Undercommons – developed today, providing essential tools to recognize, expose, and understand which processes and heuristics are dreading for the gendered, racialized, and class hierarchies that sustain global capitalism and an increasing neoliberal academia.
Franca Bimbi (frabi1947@gmail.com) (Università di Padova), Dal Charmed Circle alla fluidità sessuale dei generi e delle identità. Gayle Rubin alla sfida dell’UNITÁ
Riflettiamo qui sulla fluidità sessuale di genere e d’identità nell’orizzonte delle criticità odierne. Con Gayle Rubin rileggiamo la riconfigurazione dei confini, nel binarismo genere-sesso, e nel dualismo tra patriarcati e post-patriarcati, colonizzatori e colonizzati. Lo Stato (con pretese imperiali) impone l’UNITÁ con narrazioni nazionaliste-nativiste, la Chiesa cattolica ripropone la triplice UNITÁ sigillata 1700 anni fa nel Credo di Nicea e Costantinopoli: disciplina sui corpi, comunione contro le eresie del Mondo, ricombinazione concordataria con le proposizioni imperiali e le statolatrie. Tuttavia, si accrescono le difficoltà a mantenere i muri tra le traiettorie di vita sessuata delle persone che resistono, come outsider-within, tra i confini e nei mescolamenti. Seguiremo da qui alcuni percorsi delle teologie della liberazione e di quelle queer africane, nonché aspetti della teologia cattolica queer o di femminismo queer e delle ermeneutiche queer protestanti. Infine, richiamiamo il dramma surrealista di Guillaume Apollinaire del 1917, “Les mamelles de Tirésia”, un modello di fluidità contrastante il “riarmo demografico”. “Inversione” dei generi, con-fusione delle “razze” e procreazione artificiale indicavano già allora le lotte contro i miti della potenza militare e della famiglia eterosessuale. Nel 1947 Francis Poulenc, musicista cattolico apertamente omosessuale, rappresentò il dramma di Apollinaire contro il clima anti-gender del ritrovato ordine repubblicano.
